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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

I QUATTRO QUESITI

Sono 4 i referendum su cui gli elettori italiani saranno chiamati a esprimersi domenica 12 e lunedì 13 giugno. Si tratta di referendum abrogativi di leggi attualmente in vigore: i soli che la Costituzione prevede su iniziativa dei cittadini. Per ciascuna delle proposte avanzate dai comitati promotori sono state raccolte le firme di oltre 500 mila cittadini italiani (poi convalidate dalla Cassazione). I quesiti sono stati ammessi a gennaio dalla Corte costituzionale, che li ha ritenuti non in contrasto con principi e norme della Carta. Secondo quanto previsto dalla Costituzione (articolo 75), affinché i referendum siano validi, occorre che alle urne si rechi il 50% più uno degli elettori aventi diritto. Senza il raggiungimento di questo quorum minimo di partecipazione è come se il referendum non si fosse mai svolto, e le leggi (o le parti di leggi) interessate sarebbero quindi confermate
Privatizzazione dei servizi di fornitura dell’ acqua Scheda di colore rosso Scontro fra chi crede nell’ efficienza del mercato e chi vuole che le risorse idriche restino al pubblico
1 Il primo referendum sull’ acqua si intitola: «Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». Il quesito, molto complesso nella formulazione, mira ad abrogare l’ art. 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», a più riprese modificato da provvedimenti del 2009
Le ragioni del «sì»
Vota «sì» chi è contrario alla privatizzazione dei servizi di fornitura dell’ acqua, la cui gestione è messa nelle mani dei privati dalla legge Ronchi (della quale si chiede l’ abrogazione). Il primo quesito riguarda i servizi pubblici di rilevanza economica. Il provvedimento stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’ affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’ affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’ interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. Le società a totale capitale pubblico cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. Abrogare questa norma - secondo il comitato promotore - significa contrastare l’ accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici
Le ragioni del «no»
Chi si orienta per il no sottolinea che non è vero che l’ acqua viene «privatizzata»: l’ acqua era e resta un bene pubblico, cambia solo la gestione del servizio. Gli argomenti portati a favore di questa tesi sono i seguenti: ogni anno il dissesto del comparto idrico costa agli italiani 2 miliardi di euro e molte persone non sanno che oggi l’ acqua ha prezzi enormemente diversi da una città all’ altra e da una parte all’ altra del Paese. L’ entrata in campo dei privati, è il ragionamento, servirà per rendere efficiente e migliorare il servizio Che cosa succederà se vincono i «sì» Si potrà cambiare la gestione dei servizi Che cosa succederà se vincono «i no» Tutto rimarrà com’ è oggi
Determinazione delle tariffe del servizio idrico Scheda di colore giallo
2 Due visioni diverse su investimenti e guadagni: profitti garantiti o legati a migliori servizi? L’ altro referendum sull’ acqua s’ intitola: «Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’ adeguata remunerazione del capitale investito». Questo il quesito: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’ art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale", limitatamente alla seguente parte: "dell’ adeguatezza della remunerazione del capitale investito"?»
Le ragioni del «sì»
Il quesito riguarda l’ abrogazione dell’ articolo 154 del decreto legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’ Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ «adeguatezza della remunerazione del capitale investito». «La parte di normativa che si chiede di abrogare - afferma il comitato promotore - è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio». Dunque, conclude chi è favorevole al «sì»: «Abrogando questa parte dell’ articolo sulla norma tariffaria si elimina il "cavallo di Troia" che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull’ acqua»
Le ragioni del «no»
Senza remunerazione dei capitali, dice chi non vuole l’ abrogazione, non ci sarà interesse per i privati a gestire il servizio, che rimarrà inefficiente com’ era finora, con acquedotti-colabrodo e mancanza d’ acqua in certe zone e periodi dell’ anno. Molti scandali (come quello dell’ acquedotto pugliese) hanno riguardato in passato la gestione delle risorse idriche: è necessario cambiare e smantellare i «carrozzoni politici» che hanno fatto di servizi pubblici essenziali il loro appannaggio esclusivo Che cosa succederà se vincono i «sì» Tutto resta com’ era prima Che cosa succederà se vincono i «no» Si creeranno condizioni che potrebbero rendere più appetibile per i privati l’ ingresso in questo settore
Nucleare Scheda di colore grigio
3 In gioco gli 8 reattori previsti dal piano nazionale I «sì»: costi alti. I «no»: oggi comperiamo energia Il titolo del referendum sul nucleare, riformulato dalla Corte di Cassazione alla luce delle norme introdotte con il decreto Omnibus, sarà: «Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare». Il testo del quesito dice: «Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’ articolo 5 del dl 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?»
Le ragioni del «sì»
Si vota «sì» per impedire che possano essere progettate, localizzate e realizzate in futuro nuove centrali nucleari sul territorio italiano. Il piano italiano prevede attualmente 8 nuovi reattori in quattro nuove centrali. Tra le ragioni di chi lo critica ci sono gli alti costi e soprattutto le insufficienti garanzie di sicurezza della tecnologia in relazione al funzionamento delle centrali stesse, anche in considerazione della forte sismicità del territorio italiano. Gli elevatissimi finanziamenti necessari, potrebbero inoltre essere utilizzati per realizzare un piano energetico alternativo basato sulle energie rinnovabili, come hanno già deciso di fare Germania e Svizzera, che dopo l’ incidente alla centrale giapponese di Fukushima hanno rinunciato per sempre al nucleare
Le ragioni del «no»
Vota no chi vuole mantenere l’ attuale legge e quindi avere nuove centrali nucleari. Visto che siamo circondati da centrali nucleari degli altri Paesi confinanti, in particolare la Francia, ed importiamo - proprio dalla Francia - energia ad alto costo. Vota no chi ritiene che le centrali di nuova generazione siano più sicure di quella che ha subito l’ incidente in Giappone. Ma anche chi non si reca a votare può fare una scelta che - abbassando il quorum necessario perché il referendum sia valido - può alla fine avallare la decisione di costruire nuove centrali nucleari Che cosa succederà se vincono i «sì» Il governo italiano (non solo l’ attuale governo Berlusconi) non potrà inserire nel proprio piano energetico nazionale nuove centrali nucleari Che cosa succederà se vincono i «no» Per i prossimi cinque anni non si potranno più fare referendum sulle centrali nucleari
Legittimo impedimento Scheda di colore verde
4 Esigenze di giustizia e funzioni di governo: la legge modificata dalla Corte costituzionale Il referendum si intitola: «Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale». Il quesito dice: «Volete voi che siano abrogati l’ articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché l’ articolo 2, della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante "Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza"?»
Le ragioni del «sì»
Voterà «sì» chi ritiene che il presidente del Consiglio o i ministri, siano essi parlamentari oppure no, non debbano poter anteporre l’ esercizio delle loro funzioni di governo alle esigenze di giustizia che li riguardino, esattamente come capita a un cittadino qualsiasi in base al principio di uguaglianza sancito dall’ articolo 3 della Costituzione
Le ragioni del «no»
Voterà «no» chi pensa che la legge nella forma attuale, parzialmente riscritta dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del gennaio scorso (che assegna al giudice il compito di valutare di volta in volta se un’ assenza in udienza è giustificata), abbia passato il vaglio di legittimità, operi un bilanciamento tra le esigenze di giustizia - quelle di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e quelle della governabilità - e quindi non sia uno «scudo penale» o addirittura un’ immunità. Per la Consulta, il presidente del Consiglio e i ministri hanno diritto ad una forma tipica di «impedimento» in relazione alla funzione, una tutela ulteriore rispetto a quella che in base al codice hanno tutti i cittadini. Uno studio della Corte costituzionale ricorda che in molti Paesi i titolari del potere esecutivo (se non sono membri del Parlamento e quindi non godono delle particolari prerogative dell’ essere membri di assemblee elettive) hanno varie forme peculiari di protezione penale Che cosa succederà se vincono i «sì» Si torna alla disciplina precedente, cioè il presidente del Consiglio non potrà far valere i suoi impegni istituzionali in quanto tali per non andare in udienza Che cosa succederà se vincono i «no» Il legittimo impedimento per premier e ministri resta in piedi, con tutti i paletti imposti dalla Corte costituzionale e il richiamo alla necessità di una «leale collaborazione» tra esponenti di governo e giudici
A cura di Maria Antonietta Calabrò