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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

QUESTA VOLTA HA RAGIONE TREMONTI

Giulio Tremonti sta opponendo una meritoria resistenza alle pressioni del premier e dei colleghi di governo. Questi, non volendo guardarsi allo specchio, imputano al suo rigore contabile il calo dei consensi elettorali e dunque pretendono di tornare alla finanza allegra. Che, non dimentichiamolo, si fa sia aumentando la spesa pubblica a parità di gettito fiscale sia diminuendo le imposte a uscite costanti. Negli stessi giorni, sul ministro dell’Economia piomba la critica della Banca d’Italia. Per conseguire il pareggio di bilancio nel 2014, Mario Draghi sconsiglia la politica dei tagli uniformi della spesa pubblica, che tarpano le ali ai migliori e non penalizzano abbastanza i peggiori con ciò togliendo due punti di Pil alla crescita.
In alternativa il Governatore propone l’intervento mirato sui centri di costo inefficienti, previa la revisione della spesa avviata da Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia del governo Prodi. Tremonti si trova così preso in mezzo, tra il fuoco del peggio e quello del meglio.
Se potesse, credo che Tremonti seguirebbe volentieri le orme del suo predecessore, con il quale ha avuto pubblici scambi di riconoscimenti. Perché non lo fa? Perché il governo Berlusconi ha immediatamente abbandonato il rigore mirato trincerandosi, su iniziativa di Tremonti, dietro il rigore indiscriminato che pure nel prosieguo ha effetti depressivi sull’economia? E come mai il governo Prodi e la sua bandiera Padoa-Schioppa erano stati travolti? La risposta non può venire dal banchiere centrale, che non fa politica in senso stretto. Ma questo è il nodo vero.
Il rigore mirato può colpire in profondità interessi precisi, non di rado potenti, e dunque in grado di reagire insidiando il consenso del governo. I tagli lineari, invece, fanno arrabbiare tutti, ma senza particolare intensità, e dunque sono perseguibili con minore difficoltà. Nell’emergenza della crisi finanziaria globale che ha contagiato i titoli pubblici dei Paesi più deboli dell’Eurozona, il meglio è stato giudicato nemico del bene. Laddove per fare il bene ci sarebbe voluta una maggioranza politica disposta a scontrarsi con le lobby e disposta a rischiare qualche consenso oppure uno spirito repubblicano così forte e diffuso da sospendere su questo terreno la competizione partitica.
Un tale spirito è fiorito nella Germania delle grandi coalizioni e nell’Italia dei governi di Ciampi e del primo Prodi. Non nella Grecia dove l’esecutivo socialista firma i tagli e l’opposizione conservatrice sostiene la piazza in rivolta. E nemmeno nell’Italia divisa di questi ultimi anni. Il pur difettoso rigore tremontiano è il meglio che in questo momento passa il convento del governo. Se si vogliono togliere i difetti, bisogna correggere la politica generale per costruire un consenso nuovo, basato su una coesione sociale più seria, ampia e profonda. Alla quale certo possono concorrere gli otto punti del Governatore, purché inseriti in un disegno più ampio, capace di invertire le politiche che, in Italia come nel resto dell’Occidente, hanno scommesso sull’espansione del debito per finanziare i consumi in un quadro di redditi da lavoro resi stagnanti per consentire l’impennata dei redditi d’impresa sui quali è stato costruito il castello di carte della turbo finanza. Che è ancora là.
Oltre il rigore tremontiano c’è il baratro dei conti pubblici allo sbando, ma il rigore tremontiano non potrà durare a lungo e migliorare senza un’evoluzione virtuosa della politica, sostenuta da un nuovo, più maturo consenso.
Massimo Mucchetti