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 2011  maggio 29 Domenica calendario

MAGNA ROMA - E

se la carbonara non fosse romana? Ad insinuare il dubbio è Ilaria Beltramme, che in questi giorni manda in libreria il suo «Magna Roma. 101 ricette per cucinare a casa i piatti della tradizione romana», edito da Mondadori. Beltramme, giovane appassionata di storia dell’ arte e già autrice di «101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita» ha consultato i testi sacri della cucina romanesca, in primis quello celeberrimo di Ada Boni, stampato nel 1930. Dove la carbonara non viene nominata. E così in tutti i ricettari anteguerra. Quindi sarebbe da scartare ogni origine riferita ai cospiratori mazziniani oppure ai carbonari umbri che comparivano nei dintorni dell’ Urbe con una sporta carica di uova fresche, carne essiccata tipo pancetta e formaggio pecorino. Ipotesi di Beltramme: «La carbonara potrebbe venire da molto, molto più lontano. Da Oltreoceano addirittura. Dai tascapane dei soldati americani durante la seconda guerra mondiale. Uova e bacon, un oste affezionato con la voglia di coniugare i sapori degli alleati con quelli di casa e il gioco è fatto. Carbonara, perché doveva essere letteralmente annerita di pepe, come fosse cosparsa di carbone». Segue, naturalmente, la descrizione accurata per preparare il piatto. L’ autrice lo fa con il consueto brio, che qui diventa addirittura scoppiettante, aggiungendo ad ogni ricetta storie su certi usi e costumi della città, oggi dimenticati, ma le cui tracce sopravvivono nascoste negli ingredienti alimentari più amati. Si delinea una geografia ortofrutticola urbana in auge fino ai primi del Novecento, con i carciofeti che punteggiavano il panorama capitolino fin dentro le mura e i peperoni rossi e gialli coltivati nei grandi cortili dei palazzi del centro o dei conventi. I sedani (selleri, in dialetto) vennero riscoperti nel Cinquecento dal cardinale Luigi Cornaro che li accudiva nel suo giardino a Fontana di Trevi; la lattuga più croccante cresceva intorno al Mausoleo di Augusto; le fave erano talmente apprezzate da sempre che gli eserciti antichi le piantavano nei loro accampamenti accompagnandole con scorte di pecorino ben stagionato; i fichi più buoni erano appannaggio dei domenicani di Santa Maria sopra Minerva e l’ olio veniva prodotto dagli oliveti che ricoprivano la spianata dove oggi corre via delle Quattro Fontane; la cicoria cresceva ovunque tra le rovine e ancora oggi viene servita «strascinata». Indicazioni per una riuscita perfetta del manicaretto: «l’ erba va aperta con il forchettone e trascinata da una parte all’ altra della padella, più o meno come si sente un romano quando si ritrova in un ufficio pubblico, in una mattinata dedicata alla burocrazia». Si sarà capito che più che un manuale culinario, «Magna Roma» è un libro da leggere con divertimento, magari mentre il battuto - ingrediente base di quasi tutte le ricette - sfrigola allegramente nel tegame. Certi particolari potrebbero far inorridire gli animalisti e i sostenitori di Telefono Azzurro, come le merende di crostini col merollo (midollo di bue), che hanno allevato generazioni di piccoli romani. Beltramme non arretra davanti alle preparazioni più feroci, ma lo fa con estrema grazia. Anche quando spiega come cucinare i piedini di capretto con le fave e la testina di abbacchio al forno, oppure descrive le torture a cui sono sottoposte le povere lumache vignarole, regine della festa paganeggiante che si consumava la notte del 23 giugno a San Giovanni (e il papa arrivava all’ alba in Laterano per una messa riparatrice dopo la cagnara). Consiglia tuttavia di non raccontare al forestiero debole di stomaco la bellezza della pajata e il gusto sopraffino della coda. «Conviene aspettare che li assaggi e se ne innamori».
Lauretta Colonnelli

Il talismano della felicità è usscito nel 1929 secondo wikipedia e nel 1927 secondo http://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=2052&stampa=1
che contiene anche una foto di Ada Boni anziana