Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 02 Giovedì calendario

L’ATTIVISMO DELL’AUTO - E

se fra dieci anni arrivasse sul mercato una piccola centrale nucleare? Una centrale che usa, invece della pericolosa fissione, il processo arrestabile, senza scorie e rischi di meltdown, della fusione? Una piccola fucina di energia da 100 Mw che va avanti un anno con 60 chili di litio e 18 di deuterio? Sì, sarebbe un vero passo verso l’indipendenza energetica dei singoli paesi e la salvezza climatica del mondo intero. È un’impresa monumentale, è vero: ma anche qualcosa di più di un sogno. Difatti, c’è qualcuno che ci crede.

Ci crede Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, che ha messo mano al portafoglio per partecipare al secondo round di finanziamento (19,5 milioni di dollari) di General Fusion, una startup nucleare di Vancouver. Ci crede Michel Laberge, scienziato e presidente di General Fusion, che è al lavoro per costruire entro quattro anni il prototipo, con la speranza di commercializzare la prima centrale entro questo decennio. Ma ci crede anche la comunità scientifica: «Potenzialmente, il miglior disegno di una centrale a fusione è quello di General Fusion», ha detto Ronald Kirkpatrick dei laboratori di Los Alamos, a proposito della Magnetized Target Fusion (Mtf), la tecnologia inseguita da Laberge e compagni.

«Le probabilità di successo? Beh, direi sotto il 50%», ammette Michael Delage, vicepresidente della piccola società, salito l’anno scorso a bordo della General Fusion dopo più di un’esperienza nelle startup. «Alle incertezze ci sono abituato – commenta –, ma sono rimasto attratto dall’opportunità di poter cambiare il mondo». Perché se la società canadese riuscisse a superare i mille ostacoli tecnici, la prospettiva è avere una fonte di energia pulita, sicura e, a conti fatti, a basso costo. Non foss’altro perché il carburante necessario sarebbe pochissimo, poco caro e largamente disponibile. Il deuterio, l’isotopo dell’idrogeno, si ricava dall’acqua del mare: «Se venisse usata la fusione per produrre tutta l’energia elettrica di oggi – dice Delage ridacchiando – il deuterio del mare basterebbe per miliardi di anni».

In compenso, l’idea della Mtf non è nata oggi: ci aveva pensato la Marina americana negli anni 70. «Con la tecnologia di quei tempi era irrealizzabile – spiega Delage al telefono – e noi abbiamo apportato ulteriori miglioramenti». La Mft è un mix delle due tecnologie per la fusione proposte finora. Laddove la "fusione magnetica" (quella adottata per il futuribile esperimento Iter in Francia) crea il confinamento del plasma senza compressione e la "fusione a confinamento inerziale" crea la compressione senza il confinamento, la soluzione di General Fusion usa temperature e densità inferiori, per poi comprimere il plasma per la durata di pochi microsecondi, ovvero milionesimi di secondo.

Ogni ciclo di produzione, consiste nel creare il plasma di deuterio e trizio, intrappolarlo in un campo magnetico, comprimere il campo e il plasma fino a condizioni termonucleari e infine catturare il calore che deriva dalla fusione, usandolo per generare energia. «Il prototipo in costruzione, per il quale abbiamo adesso solo metà dei finanziamenti, non produrrà energia elettrica –, spiega Delage nel descrivere la complessità dell’operazione –. Emetterà uno solo dei quei brevissimi impulsi ogni qualche ora: prima di andare a tutta velocità, ci sono troppe cose da verificare. Il plasma ad esempio, che è uno stato a sé della materia, potrebbe comportarsi in maniera diversa da quel che ci si attende». È il bello della scienza.

Ma il bello di questa storia è sapere che, all’interminabile ricerca del Sacro Graal dell’energia – la fusione nucleare – partecipi anche un’impresa privata. «Le probabilità di farcela saranno anche inferiori al 50% – osserva Delage –, ma se compariamo il nostro investimento a quello di Iter, che richiederà un impegno dei governi nell’ordine di 10 milardi di dollari, è un rischio che si può correre». È proprio quel che devono aver pensato Bezos e gli altri investitori. Senza contare che Iter richiederà qualche decennio, forse tre, per arrivare alla costruzione del momumentale esperimento.

Fra appena quattro anni, sapremo se la piccola centrale di General Fusion ha davvero la chance di cambiare il mondo.