Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 02 Giovedì calendario

UNA SOLUZIONE? LA BCE ACQUISTI A METÀ PREZZO TUTTI I BOND GRECI

Ristrutturare o non ristrutturare, questo è il problema. Il debito pubblico della Grecia è pari a circa 300 miliardi di euro. Quello di Portogallo e Irlanda ammonta a 150 miliardi ciascuno. Quindi i soli Paesi "Pig", nel complesso, hanno 600 miliardi di euro di debito pubblico. È un numero interessante. Nella famosa manovra di allentamento quantitativo, il Qe2, la Federal Reserve ha acquistato proprio 600 miliardi di dollari di titoli del Tesoro americano. Si tratta di debito che ha un rating molto diverso rispetto a quello dei Pig. Ma la domanda, forse eretica, è la seguente: cosa succederebbe se la Bce acquistasse tutti questi titoli? O, in alternativa, se non è lecito pensare che la Bce si adoperi in una politica fiscale distributiva, non si potrebbe finanziare direttamente il fondo europeo di salvataggio Efsf al tasso Bce per acquistare tutto il debito dei Pig? Oggi l’Efsf non può fare acquisti sul mercato secondario dei titoli, ma solo su quello primario. Viceversa per la Bce.

Togliere il debito dal mercato è il primo passo per ragionare con calma sulle strategie e scenari possibili per una risoluzione ordinata della crisi europea. Se la Bce acquistasse debito greco per un valore di mercato di 300 miliardi di euro, lo farebbe accreditando direttamente i conti delle banche commerciali presso la Banca centrale, quindi aumentando le riserve bancarie. Il costo per finanziare questa operazione sarebbe proprio la remunerazione delle riserve bancarie in eccesso, depositate overnight presso la Bce. Il tasso sui depositi è ora allo 0,5%. Affinché l’operazione non comporti perdite per Bce ed Efsf, quanto speso per l’acquisto dovrebbe essere rimborsato a una certa scadenza incluso il costo di finanziamento sostenuto durante il periodo di detenzione dei titoli. Il punto critico è capire se, a queste condizioni così favorevoli, il Governo greco sia in grado di attuare un piano di austerità fiscale, graduale nel tempo, anche diluito in un decennio, che sia compatibile con un sentiero di crescita per l’economia e con il rimborso intero del debito? Se così fosse, avremmo il perdono del debito greco. In pratica, una ristrutturazione silenziosa fuori dagli occhi del mercato, in cui la Grecia ci guadagna e Bce ed Efsf non perdono nulla.

Si potrebbe obiettare che il perdono dei debiti riduca gli incentivi per il Governo di Atene a disciplinarsi, perché lo protegge dalla spada di Damocle del mercato. Ma non è certo più rischioso del rigore frettoloso e disordinato che invece, sotto il giudizio del mercato, condiziona gli attuali salvataggi e nuoce drammaticamente all’economia greca fino al punto da rendere impossibile ripagare completamente i debiti. Sul piatto degli incentivi si potrebbe anche mettere lo stesso mantenimento della Grecia all’euro, da cui Atene ha solo da guadagnare, oppure qualcos’altro. Ma è tutto questo un pasto gratis? Cosa succederebbe ai "vecchi" creditori del Governo greco, fra cui le banche?
Oggi il debito greco ha un valore facciale di 300 miliardi di euro ma un valore di mercato decisamente inferiore. Alcuni titoli a lunga maturità sono prezzati a 45% contro un valore di 100. Il prezzo a cui Bce-Efsf potrebbero rastrellare i titoli dipende dalle modalità, dalle informazioni e dalla gradualità dell’operazione. Se li acquistassero a sconto, farebbero un ulteriore favore alla Grecia e un’altra ristrutturazione silenziosa, lasciando però delle perdite nei bilanci delle banche. Tuttavia, queste perdite sarebbero volontarie e per questa natura non dovrebbero costituire un problema. Più probabilmente acquisti massicci porterebbero a pressioni tali sui prezzi da salvare completamente le banche, ancora una volta.
E l’inflazione? Avremo sì monetizzato il debito, letteralmente emettendo moneta/riserve per acquistare i titoli, ma creeremo inflazione? Non necessariamente. L’inflazione è conseguenza di una maggiore domanda di beni, data l’offerta. Finanziare i governi fa paura perché è come dare una carta di credito a un adolescente. Spenderebbe. Ma non sarebbe questo il caso. L’austerità fiscale, condizionata ai giusti incentivi, chiuderebbe completamente questo canale. L’’inflazione potrebbe invece prendere piede se le banche incominciassero a elargire troppi presiti sulla base delle maggiori riserve. In questo caso, la Bce avrebbe una semplice soluzione: alzare il tasso sulle riserve e quindi il costo-opportunità di erogare i prestiti oltre che adottare misure, neutrali o non, di sterilizzazione. Così si alzerebbe anche il costo di finanziamento del piano di acquisto dei titoli, ma non certo in misura spropositata e superiore al costo attuale degli aiuti. Inoltre bisogna considerare che parte della nuova liquidità si dirigerà verso altri mercati e Paesi, spingendo al rialzo i prezzi di attività finanziarie e magari anche deprezzando l’euro. Infine, senza più il problema dei debiti, sarà la stessa crescita ad assorbire l’eccesso di offerta di liquidità contenendo le eventuali pressioni inflazionistiche.
Come dice l’economista di Berkeley Maurice Obstfeld, l’aspetto più paradossale della crisi europea è l’intervento del Fondo monetario internazionale. Di norma il Fondo soccorre Paesi che hanno bisogno di linee di credito in valute straniere, che non sono in grado di emettere né reperire a buon mercato. Nel caso dell’Europa, l’Fmi offre crediti in euro, moneta che l’Europa stessa ha il privilegio di emettere, al costo più basso, con la Bce. Questa è la vera novità in cui bisogna trovare la via d’uscita: l’euro.