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 2011  giugno 03 Venerdì calendario

LO SCRITTORE NON ABITA QUI - MILANO HA

cementato il primato produttivo dei libri, ma la vita letteraria è altrove. Il Salone a Torino. Il principale festival a Mantova. Molte nuove e dinamiche case editrici a Roma, dove vive una cospicua comunità di scrittori. E qui s’è verificata una desertificazione in favore d’altre espressioni creative più connesse al business: design, moda... La società letteraria milanese s’è parcellizzata, diradata. Anche se da qualche tempo si percepiscono fermenti diversi. E l’insofferenza per la monocultura mercantile, il tipo antropologico “suvnormale”, è esplosa nell’elezione di Pisapia... Ma basterà per cambiare musica? È un vento nuovo, un desiderio di partecipazione civica che investe anche la cultura o una folata passeggera? «Il risveglio dell’editoria romana – dice Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza – è caratterizzato da centri di discussione collettiva. A Roma gli editori, minimumfax, Fazi, e/o e altri, s’incontrano, discutono. Qui no. «CI S’INCONTRA più facilmente a Torino o a Francoforte. Come se la città avesse smarrito il senso della comunità. Però colgo i primi segni in direzione opposta, una richiesta di partecipazione. La nostra rete di traduttori s’è mobilitata per Pisapia». Russo non vede tutto buio: Mondadori e Rizzoli sono gruppi industriali, ma con dentro editor come Antonio Franchini ed Elisabetta Sgarbi (Bompiani), che anima la Milanesiana, unica manifestazione letteraria della città. Scrittori come Scurati, Genna.
Massimo Coppola, direttore editoriale e socio di Isbn, va giù duro: «Milano è una città di cui vergognarsi. Le istanze sociali e culturali non sono rappresentate. Non c’è un progetto. Siamo ostaggi dei bottegai». Isbn il 16 giugno aprirà la redazione per un Bollywood party in onore del romanzo Mama Tandori: «Qui sotto di noi c’è un fossato. In questa via i negozi sono tutti chiusi. A Roma c’è interazione con le istituzioni e più occasioni di scambio». Coppola, che viene da Mtv, spera in Pisapia.
«Milano non è solo la capitale dell’editoria – dice Stefano Mauri, presidente del gruppo Gems che raccoglie diverse sigle, da Longanesi a Garzanti passando per Guanda -, è il quartier generale di tutte le catene librarie e della distribuzione. Stride che nessuna manifestazione dedicata ai libri esca dall’ambito parrocchiale. Internet ha affrancato dalla schiavitù della residenza. Gli scrittori preferiscono città meno distratte come Torino, Roma, o Napoli, trincea sociale».
Elisabetta Sgarbi la vede diversamente: i piccoli editori romani sanno fare rete, è vero, ma la rete “imbriglia”: «Ci sono editori che incontro per consuetudine a Milano, altri che, per il mio lavoro, non è necessario che veda continuamente. In ogni caso, oltre a Francoforte, vedo tutti alla Milanesiana». E poi: «Molti autori sono a Milano. E molti agenti letterari. Anche se a Roma c’è, per tradizione, una maggioranza cospicua di scrittori». La Sgarbi non crede che Milano sia scomparsa dai romanzi: «De Carlo ne parla spesso. E tra le nuove generazioni, Vincenzo Latronico».
La pensa come lei Antonio Franchini, editor per Mondadori di libri come Gomorra: «Io che leggo molto di quello che poi non si pubblica, posso dire che di romanzi ambientati a Milano se ne scrivono parecchi. Dal punto di vista delle suggestioni la città ha perso molto. Ma come le famiglie di Tolstoj, le città che producono più e migliore letteratura sono infelici». Certo, «l’humus romano è più fecondo. Ma la scrittura è un mestiere solitario, non si diventa grandi scrittori perché si va a più feste».
Per il critico romano Emanuele Trevi, lo scrittore milanese passa i pomeriggi sul blog: «Sono ridicoli. Non è meglio uscire? O avere il coraggio di stare da soli? L’esempio più tragico è Nazione Indiana, che adoro per altri aspetti, ma non per il commento: il commento sul blog è una brutta esperienza collettiva. Esprime solo reattività emotiva».
Alessandro Bertante, in corsa per lo Strega con Nina dei lupi, dissente: «Io esco tutti i giorni. Vedo spesso Scurati, Genna. Con Scurati facciamo la manifestazione Officina Italia: quest’anno l’abbiamo rimandata a ottobre ma ci saremo, soprattutto ora che abbiamo vinto le elezioni. Ci sono stati problemi con i finanziamenti. Il discorso di Trevi è una fesseria. Non è vero che i blog sono un fenomeno milanese! Lui poi in quella dimensione romana sguazza. Non ci tengo a partecipare alle feste in terrazza, alle incularelle, le mafiette. Che producono? Quanto vende Trevi? 800 copie?».
Per Camilla Baresani, autrice di Un’estate fa, attenta ai costumi, è il tipo di lavoro a rendere più comunitaria l’esperienza degli scrittori a Roma: c’è la Rai, con le fiction, il cinema, Radio Tre: «Un tipo di lavoro collettivo; a Milano tutto questo non esiste, se devi curare un Meridiano ti chiudi in biblioteca e amen. Poi la città non offre luoghi di aggregazione. Lì, per dire, se passi a Fahrenheit incontri sempre qualcuno». Secondo Mario Villalta, ideatore di Pordenone Legge, «non esiste più il “tessuto” di relazioni che ha caratterizzato la cultura milanese fino agli anni ’90. Restano le grandi case editrici, due delle quali stanno in tangenziale».
«Quando Pisapia ha annunciato la candidatura al teatro Litta, sono salito sul palco per ricordare la Milano capitale del libro – dice Mauri – e ho precisato che non ero lì per militare ma perché ho capito che i sindaci è bene prenderli da piccoli. Spero che il Pd non abbia usato la società civile per vincere le elezioni e poi metterla da parte come in passato». La scarsa sensibilità culturale della destra ha creato un solco. Ora molti rialzano la testa. Torna il tormentone di fare la fiera del libro come a Torino: per Mauri, meglio una manifestazione letteraria; per la Sgarbi, ha senso solo se si fanno le cose in grande. Russo ipotizza una partnership con Torino su aspetti come gli incontri tra editori e agenti letterari internazionali. Villalta sostiene che se non si coinvolgono dal basso gli operatori e non si promuovono le novità diventa «la vetrina dei soliti noti, a Milano o Domodossola non cambia».