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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

INCUBO MEDIASET

Come si dice in questi casi, Fedele Confalonieri se l’è chiamata. Il 20 aprile scorso, davanti ai soci riuniti in assemblea, il presidente di Mediaset si era lamentato che “analisti e giornali finanziari, ignorando i brillanti risultati del nostro gruppo, esprimono giudizi troppo prudenti sulla nostra azienda”. Non l’avesse mai detto, da quel giorno i titoli del gruppo televisivo controllato da Silvio Berlusconi hanno infilato un ribasso dietro l’altro in Borsa. Nel giro di un mese o poco più la quotazione si è sgonfiata del 20 per cento circa. E ieri, al termine dell’ennesima giornata negativa, il titolo di nuovo in calo di oltre l’1 per cento ha toccato il minimo dall’autunno 2008, ai tempi della tempesta per il crac della finanza globale.
Che cosa succede? Come si spiega il crollo? Ovviamente gli analisti internazionali non ce l’hanno con Mediaset per partito preso, come sembra adombrare Confalonieri. Semplicemente i grandi investitori internazionali ritengono che la macchina da soldi delle tv berlusconiane, dopo i risultati deludenti del primo trimestre dell’anno, sia destinata a rallentare ancora il passo nei prossimi mesi.
Queste previsioni negative, soprattutto sul fronte pubblicitario, non bastano però da sole a spiegare i ribassi di queste settimane. Dietro il calo del titolo Mediaset c’è di più, e di peggio. C’è quell’insieme di circostanze che gli analisti della società britannica Bernstein research riassumono sotto il titolo “L’autunno del patriarca”, dove il patriarca il questione altri non è che Berlusconi, sempre più in difficoltà a mantenere la presa sul potere dopo la batosta delle elezioni amministrative. Il ragionamento condiviso dalla maggioranza degli analisti anche e pochi dalle nostre parti lo mettono per iscritto nei report, è che il progressivo indebolimento politico del premier finirà per penalizzare anche le sue aziende.
I PESSIMISTI si spingono ad immaginare nuove leggi anti Mediaset sfornate da un centrosinistra che tornerebbe al potere a Roma nel giro di pochi mesi. Per esempio un tetto alla raccolta pubblicitaria. L’ipotesi del cavaliere che lascia palazzo Chigi già nell’autunno prossimo appare in verità al momento piuttosto improbabile. Più realistico sembra invece lo scenario in cui la debolezza politica del capo della Fininvest si traduce in un rallentamento del business. Come dire che molti grandi inserzionisti potrebbero sentirsi meno motivati a comprare spot sulle tv Mediaset se l’azionista di controllo dovesse abbandonare la poltrona di capo del Governo.
Solo ipotesi al momento, ma i grandi investitori normalmente preferiscono alleggerire le posizioni su un titolo quando all’orizzonte si profilano troppi dubbi e incertezze. E per Mediaset, e più in generale per l’impero berlusconiano, le incognite per il futuro prossimo non mancano davvero.
LA PUBBLICITÀ, innanzitutto. Dopo la ripresa di aprile, la raccolta è tornata a calare in maggio, anche se i vertici del gruppo si dichiarano ottimisti per giugno e anche per l’intero secondo trimestre. In Spagna però la controllata Telecinco, sei mesi fa ha preso il controllo della concorrente Cuatro, fatica ancora a riprendersi dopo le batoste del 2008-2009. Un’altra incognita riguarda l’acquisizione di Dmt, la società che possiede oltre 1.500 torri di trasmissione telefonica e televisiva. L’operazione annunciata a fine marzo è ancora in attesa del via libera della Consob. Media-set vorrebbe evitare di lanciare un ‘Offerta pubblica d’acquisto in Borsa, risparmiando così svariate decine di milioni. Serve però l’ok della Commissione, che al momento appare tutt’altro che certo. Senza contare che di recente anche il gruppo Telecom ha minacciato un ricorso all’Antitrust contro un affare che darebbe a Berlusconi una posizione di predominio in un settore strategico come quello della torri di trasmissione. Niente paura, rispondono da Mediaset, il 2011 si concluderà con utili in aumento rispetto all’anno scorso. Gli analisti però non si fidano. Tant’è vero che la grande maggioranza delle banche d’investimento ha ritoccato al ribasso le proprie previsioni sui risultati del gruppo. Ma non è solo questione di tv. A innervosire i mercati c’è anche la sentenza di secondo grado in arrivo sul lodo Mondadori.
Da mesi Berlusconi va dicendo che in appello è sicuro di far valere le proprie buone ragioni contro Carlo De Benedetti. I pronostici sono tutti per una revisione al ribasso dei 750 milioni di risarcimento a carico della Fininvest. Forse 500 milioni, forse anche meno, sulla base di una perizia ordinata dalla Corte d’Appello che fissa tra i 440 e i 490 milioni il danno subito dalla Cir di De Benedetti. Si vedrà.
SEGRETARIO A SUA INSAPUTA - DI CERTO però il verdetto in arrivo, forse già entro fine giugno, ha messo in fibrillazione anche i mercati finanziari. Nei giorni scorsi ha cominciato a circolare anche l’ipotesi che per saldare il conto Berlusconi potrebbe decidere di mettere in vendita proprio Mondadori. Ipotesi che in verità pare un po’ campata per aria. Sia perchè il gruppo editoriale al momento viaggia in Borsa ai minimi, sia perché Fininvest dispone della liquidità sufficiente per far fronte al pagamento senza subire tracolli. Gli operatori finanziari però vedono nero. Da una parte le difficoltà in politica. Poi il business della tv che rallenta. Infine il macigno del risarcimento Monda-dori. E così è bastato che lunedì scorso Berlusconi incontrasse a Roma quattro dei suoi cinque figli (mancava solo Eleonora) perchè qualcuno immaginasse una sorta di vertice d’emergenza per convincere il Cavaliere a fare un passo indietro in politica con l’obbiettivo di salvaguardare i business di famiglia. I diretti interessati hanno prontamente smentito. Anche queste indiscrezioni sono finite però nel gran calderone delle voci. E il ribasso continua.