Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 3/6/2011, 3 giugno 2011
IL FATTO DI IERI - 3 GIUGNO 1924
La sua ossessione era ormai l’acqua. Un sorso, anche solo un sorso che spegnesse il fuoco della sua laringe devastata dalla tubercolosi. Nella piccola stanza del sanatorio di Kierling, Kafka agonizza di sete, a stento deglutisce la saliva, più nulla ormai riesce a filtrare nella gola ulcerata. È il 3 giugno 1924, ultimo atto. In quella camera piena di fiori lo hanno accompagnato Dora Diamant, la giovane ebrea polacca teneramente legata a lui nell’ultimo scorcio di vita, e Max Brod, l’amico praghese di sempre. L’uomo che aspirava al suicidio, divorato dal dubbio di vivere, ora non vuole arrendersi, implora la morfina, si abbandona alla nostalgia di epiche bevute nelle birrerie di Praga. Poi, vaga tra le ombre della sua latente follia, emersa al tempo delle Metamorfosi e tra i fantasmi dei suoi personaggi, ultima, Josephine, la cantatrice del suo racconto incompiuto. Prega Max, che gli risponderà di non essere “un Erostrato”, di bruciare tutti i suoi inediti… “non sempre gli scrittori cercano l’immortalità per i loro libri...”. Infine, prima di sussurrare al suo medico Klopstock, “uccidetemi, se non siete un assassino”, chiede un piattino di fragole e ciliegie. Per aspirarne il profumo, prima di andarsene.