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 2011  giugno 03 Venerdì calendario

PERICOLO ANGELUCCI

Il lancio d’agenzia è arrivato mercoledì di buon mattino. Un orario insolito per la politica e il giornalismo: le nove e ventiquattro minuti. Titolo: “Pdl: Antonio Angelucci lascia gruppo”. Un paio di deputati berlusconiani, quando l’hanno compulsato in tempo reale allertati direttamente da Palazzo Grazioli, hanno esclamato: “Questo è un pizzi-no, più che una notizia”.
Classe ‘44, Antonio Angelucci detto Tonino è il patriarca di una delle famiglie più potenti e ricche di Roma. La sua leggenda nera, scura come gli occhiali che porta sempre, ha un incipit intriso nell’umiltà e nel sacrificio: portantino d’ospedale. Poi la scalata. E i guai giudiziari, tanti. Oggi il suo impero si chiama Tosinvest, gestito assieme al figlio Giampaolo, il prediletto rispetto ai due gemelli Alessandro e Andrea. Ventinove cliniche convenzionate tra Lazio, Puglia e Abruzzo e la mania dei giornali. Gli editori Angelucci sono stati nell’Unità e nel Riformista, oggi controllano Libero e la Gazzetta del Mezzogiorno. La “nomina” a deputato del patriarca è avvenuta alle ultime politiche del 2008: Gianfranco Fini lo paracadutò, in quota personale, nella lista del Pdl nella circoscrizione Lombardia 2. Passato dai socialisti alla destra, fino ad allora Tonino Angelucci aveva una consuetudine bipartisan con la politica. Da un lato l’amicizia con l’attuale presidente della Camera, il cui fratello Massimo lavora nelle cliniche della Tosinvest. Dall’altro Massimo D’Alema e l’ex tesoriere ds Ugo Sposetti: gli Angelucci salvarono dai debiti il Pci-Pds con l’operazione Beta Immobiliare e il controllo di 261 palazzi di proprietà “comunista”, tra cui la storica sede di Botteghe Oscure (che, tra l’altro, quest’estate dovrebbe essere messa in vendita, una volta liberata l’ex libreria Rinascita ancora occupata dalla redazione del Riformista, passato nel frattempo a Emanuele Macaluso).
LA SVOLTA POLITICA degli Angelucci risale a un anno fa, quando Fini rompe con Berlusconi. Dapprima, il patriarca Tonino, con una gamba ingessata, va nello studio a Montecitorio dell’amico Gianfranco e davanti a testimoni lo rassicura: “Se fondi un partito vengo con te”. Poi lo tradisce e non si presenta alla prima riunione dei deputati finiani. Gli Angelucci passano con B. La loro lussuosa e antica dimora di via d’Ara Coeli è a due passi da Palazzo Grazioli. Da quelle parti abita anche un triumviro del Pdl, il banchiere toscano Denis Verdini, amico della cricca del G8 e presunto cospiratore della P3. Per gli Angelucci e i falchi anti-finiani del Pdl comincia un’estate memorabile. Quello della casa di Montecarlo ereditata da An e poi affittata da Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta. L’andirivieni nella magione degli Angelucci è incessante. Libero è diretto da Maurizio Belpietro e va a ruota del Giornale della triade giornalistico-pubblicitaria
composta da Feltri, Sallusti e Santanchè. Quest’ultimi tre sono andati via da Libero un anno prima ma gradualmente si riavvicinano ai loro ex editori. Non a caso, poi, lo stesso Feltri riapproda a Libero. Alla Camera, Angelucci si vede poco. Ma quando c’è confabula con Verdini e la stessa Santanchè. E fa lo struscio in Transatlantico con Amedeo Laboccetta, altro ingranaggio della “macchina” contro Fini, e soprattutto Melania Rizzo-li, moglie di Angelo e grande amica della governatrice del Lazio Renata Polverini, che tiene in sospeso le convenzioni con le cliniche degli Angelucci al centro di un’inchiesta della procura di Velletri.
In questo contesto, si inserisce dunque la notizia dell’altro giorno: Angelucci lascia il Pdl. Libero ne ha dato una versione “nordcoreana”: “Voci di nuove fughe dal Pdl: giallo su Angelucci e altri sette”. Ma senza spiegare le ragioni. Si parla di un approdo del patriarca all’Udc di Casini (un tempo la filiera di poteri finanziari nella Capitale era: Angelucci-Caltagirone-Geronzi) o al gruppo misto. Dove va Tonino? E perché se ne va? Corriere della Sera e Stampa azzardano un movente: il nuovo addio di Feltri, che torna al Giornale, house organ berlusconiano. Vero? In parte. Il pizzino uscito in agenzia moltiplica le voci. Angelucci non smentisce, ma dai piani alti del partito di Casini riferiscono: “Non è vero che viene con noi, provate a chiamare Fli e Api”. Nemmeno a loro risulta. A questo punto la direzione è obbligata : gruppo misto. Sempre se lascia davvero.
DALL’INNER CIRCLE berlusconiano arrivano due tracce. La prima è la sentenza dell’Agcom che nell’autunno scorso ha inguaiato gli Angelucci editori. L’Agenzia ha contestato che due testate in mano allo stesso proprietario devono non possono ricevere finanziamenti pubblici. L’istruttoria dura vari mesi. I commissari di destra dell’Agcom tentano di capire come orientarsi. Si aspetta una campagna di Libero contro Calabrò, il presidente-poeta. Ma non succede nulla e Tonino e Giampaolo Angelucci confidano: “Siamo tranquilli”. Invece arriva la botta: per Libero tocca restituire 12 milioni di euro. Senza contare altri 6 già messi a bilancio ma non incassati. Nello stesso periodo, Angelucci fa un prestito di 15 milioni a Verdini, che deve coprire il buco della sua banca, il Credito Cooperativo Fiorentino.
Di qui la sensazione che la rabbia di Angelucci contro il Cavaliere vada oltre Feltri, il quale già lunedì potrebbe firmare per il Giornale. Il Diretùr, anche azionista, ha fiutato il disastro e scappa per non rimetterci. Quella sentenza Agcom, per cui adesso pende il ricorso al Tar, ha fatto sfracelli. Complice anche l’agonia del berlusconismo.