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 2011  giugno 03 Venerdì calendario

Inchini, baci e strette di mano: le etichette regali da Medioevo - Il regnante, il nobile, è come un’opera d’arte in un museo; o come la cristalleria in casa altrui quando si è bambini

Inchini, baci e strette di mano: le etichette regali da Medioevo - Il regnante, il nobile, è come un’opera d’arte in un museo; o come la cristalleria in casa altrui quando si è bambini. Quindi, casomai vi capitas­se di trovarvi nella stessa stanza con una testa coronata, rifatevi al buon vecchio monito materno: guardare ma non toccare. Perché a ben guarda­re, a dover trattare coi sangue blu, il rischio di fare la figura del cafone è tal­mente alto che optare per una stolida immobilità può essere di gran lunga la scelta migliore. Certo non farete una figura brillante, ma eviterete gaffe e im­barazzi. Il discorso cambia per chi, per posi­zione, coi nobili del caso deve per for­za averci a che fare. Qui entrano in gio­co tradizioni, protocolli, cerimoniali, manuali di etichetta. Silvio Berlusconi ieri, toccando il braccio di Juan Carlos I di Borbone ha contravvenuto alla «prima regola» (anche se un real de­creto spagnolo del 1987 non fissa in al­cun modo i principi per il saluto della famiglia reale). Si consoli, è in buona compagnia. Quando la first lady ame­ricana Michelle Obama osò addirittu­ra abbracciare la regina Elisabetta II (che peraltro ricambiò il gesto) oltre­manica ci fu chi parlò di scandalo, e a poco valse a Hillary Clinton l’alibi del­le buone intenzioni quando lo scorso aprile fu strigliata dalla stampa inter­nazionale per aver scosso con troppa foga la mano dell’imperatore del Giap­pone Akihito. E pensare che la Clinton voleva solo esprimere solidarietà per il terremoto. Ma il divieto di toccare re e regine è tanto radicato quanto anti­co: risale all’incirca all’anno mille, quando in Europa nacque il mito dei «re taumaturghi», ovvero capaci di guarire malattie col semplice tocco. Da qui il valore del «tocco del re», qual­cosa da ricevere per grazia, mica da prendersi di propria iniziativa. Comunque sia il regnante, qualche volta, la mano la concede. In questo caso bisogna stringerla brevemente e delicatamente, assicurandosi prima che la propria non sia umidiccia, sfre­gandola discretamente sui pantaloni. È bene comunque verificare prima co­s­a preveda il cerimoniale della casa re­ale in questione. Gli inglesi per esem­p­io sprizzano sorrisetti di ironica supe­riorità ogni volta che uno straniero si inchina (senza che questo sia richie­sto) alla loro regina, cosa invece asso­lutamente obbligatoria per ogni suddi­to britannico. Come del resto è obbligatorio - que­sta volta per tutti - non porgere mai le spalle ad un regnante, non osare fargli domande personali, non parlare ad al­ta voce in sua presenza (Berlusconi sconta ancora quel «Mister Obama!» lanciato a Buckingham Palace)e rivol­gersi a lui esclusivamente con l’appel­lativo di «Vostra Maestà». Del resto­su­s bito dopo il «tocco» lo «sbaglio di no­me »è l’errore più diffuso. Chiedete al­l’ex premier portoghese José Socrates quanto la stampa lusitana lo abbia ber­sagliato per essersi rivolto a Benedet­to XVI, durante un colloquio ufficiale, con «sua eminenza» (titolo riservato ai cardinali) e non con «sua santità». A proposito dei Papa e vescovi: non è la mano che deve essere baciata, ma l’anello,a meno di non voler far passa­re l’alto prelato per un boss mafioso. Comunque, per quanto sia difficile salutare un regnante, resta una pas­seggiata in confronto al partecipare ad un intero ricevimento con dei reali. A partire dall’abbigliamento.Lo sa be­ne la moglie del primo ministro ingle­se David Cameron, criticata dai ta­bloid per essersi presentata al matri­monio di William e Kate a capo scoper­to, o David Beckham, che ha sfoggiato la decorazione di ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico sul bavero sba­gliato della giacca.