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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

Angelino, il primo della classe che ha bruciato tutte le tappe - Poiché in Angelino Alfano i pregi superano i difetti, toglia­moci subito il rospo

Angelino, il primo della classe che ha bruciato tutte le tappe - Poiché in Angelino Alfano i pregi superano i difetti, toglia­moci subito il rospo. Sembra un paradosso che il movimen­to berlusconiano volendo darsi per la prima volta un segretario unico, ossia un vero capo parti­to tradizionale, scelga chi, in un incarico analogo, ha fallito. La brutta esperienza risale a qualche anno fa, quando già Angelino era considerato un fe­nomeno. Nel 2005 fu nomina­to, infatti, coordinatore di For­za Italia in Sicilia, ricevendo le consegne da Gianfranco Micci­ché, fondatore del partito sici­liano. Sotto la guida di Micci­ché, Fi - appena in fasce - ebbe un successo mirabile. Alle ele­zioni politiche del 2001, conqui­stò tutti i seggi in palio nell’iso­la, dando scacco matto ai con­correnti di destra e sinistra: 61 parlamentari per Fi, contro ze­ro degli altri. Dopo il trionfo, Micciché tenne ancora per qualche tempo le redini del par­­tito, facendo del giovane Ange­lino il proprio braccio destro. Finché,volendo occuparsi d’al­tro, cedette l’incaricoal fido Al­fano che nel frattempo era an­che entrato nelle grazie del Cav. Passata in nuove mani, Fi sici­liana cominciò però a deperire. Angelino era distratto dalla car­riera romana che i­niziava a vo­lare e che lo portò nel 2008 al mi­nistero della Giustizia. A Paler­mo intanto si moltiplicavano li­ti e dissensi, fino alla duplice scissione di Micciché e di Raffa­ele Lombardo. Così il partito, da dominatore della scena, di­venne minoritario e fu costret­to all’opposizione. Angelino as­­sistette da Roma allo sfacelo senza trovare l’energia di im­porre un suo delfino. Questo l’antefatto che getta un’ombra sulla nomina di ieri, tanto più prestigiosa e impe­gnativa dell’altra. Di fronte al precedente, si possono avere due atteggiamenti. O si pensa che Angelino abbia già dato prova di non sapere dirigere una baracca complicata come un partito e allora ci si fascia la testa fin d’ora. Oppure si trae un auspicio positivo proprio dal fiasco, dicendo che il giova­notto avrà fatto tesoro degli er­rori passati e che sarà perciò un segretario con i fiocchi. I tra­scorsi di Alfano fanno propen­dere per questa festosa ipotesi. Appena quarantenne, Ange­lino è stato precoce e speciale in tutto. È probabilmente il pri­mo essere al mondo che ha An­gelino come nome vero e non per diminutivo. Ce l’ha per di­s­tinguersi dal padre che si chia­mava Angelo. È agrigentino co­me Pirandello, ma anziché es­sere arzigogolato e pessimista come lui, è sereno e soddisfat­to. «Io - dice di sé - sono un uo­mo fortunato. Non capita a tut­ti­di potere fare quello che si de­sidera da bambino». È questa la ragione principale per cui è amato dal Cav che, con la deci­sione di ieri, lo ha designato suc­cessore al trono. «Angelino - è solito dire il Berlusca- mi piace perché è un ottimista, sempre pieno di energia positiva».L’al­tra ragione per cui lo apprezza, è la caratteristica che l’ha colpi­to la prima volta che l’ha visto. «Quando lei parla si capisce quello che dice. Non sembra si­ciliano »,gli disse.Voleva essere un complimento, risultò una brianzolata. A scuola ad Agrigento, Angeli­no è stato sempre un leader. Ca­poclasse alle elementari e alle medie, consigliere d’istituto al Liceo scientifico «Leonardo». Ha fatto l’università - facoltà di Legge- alla Cattolica di Milano da convittore,secondo un’anti­c­a tradizione della Dc meridio­nale da Ciriaco De Mita a Ric­cardo Misasi a Gerardo Bian­co. Anche gli Alfano erano infat­ti dc. Angelo, il babbo, era vice­sindaco della città dei Templi quando l’infante giocava a na­scondino tra architravi e colon­ne. Pure il ragazzo debuttò nel­la Dc, diventando coordinato­re provinciale in coincidenza col primo paio di calzoni lun­ghi. A vent’anni fu il più giova­ne consigliere comunale d’Ita­lia prima che­ nel 1992- il parti­to di famiglia fosse spazzato da Tangentopoli. Il babbo ne fu piegato in due, Angelino non fe­ce una piega. Giovane co­m’era, non aveva nostalgie ma voglia di futuro. Lo individua in Fi e brucia le tappe. A 26 anni ­nel 1996 - è eletto all’Assem­blea siciliana, più giovane par­lamentare della storia isolana. All’epoca abitava ancora con i genitori. «Ciao, mamma. Vado a fare il deputato»,titolò il Gior­nale di Sicilia sull’astro nascen­te. Quando arrivo a Palazzo dei Normanni-sede dell’Ars-e vol­le entrare in Aula, un commes­so lo fermò. «Non si può», gli in­giunse. Lo aveva scambiato per il rampollo impertinente di qualche deputato intenziona­t­o a entrare di straforo nell’emi­ciclo. Per dissipare l’equivoco, Angelino fu costretto a mostra­re i documenti. Un pugno di mesi dopo era capogruppo de­­gli Azzurri, mentre i rivali inter­ni protestavano: «Ma è dare i Santi in mano ai picciriddi». Nel 2001, già si parlava di lui come futuro vicepresidente nella Giunta Cuffaro. Alfano in­vece si candidò e fu eletto a Montecitorio. Rinunciava alla ben avviata carriera siciliana, per puntare deciso a Roma a co­sto di fare il peone . A chi gli face­va osservare il regresso, rispon­deva: «Non ho particolari incli­nazioni clientelari. Questo in Si­cilia è una forza ( si evitano con­­tatti con la mafia, ndr ) ma an­che un limite perché la compe­tizione elettorale si misura con le clientele». Risposta pronta e virtuosa a parte (la sua parlanti­na è da Grolla d’oro), Angelino vedeva giusto e lontano. Lonta­no perché i fatti gli hanno dato ragione: a Roma è diventato il cocco del Cav e l’autore segreto di alcuni suoi importanti di­scorsi; ministro a 37 anni (più giovane Guardasigilli della sto­ria); ora è l’Erede. Giusto per­ché lasciando presto la Sicilia si è sottratto a quelle faide locali che finiscono, prima o poi, per avvilupparti in storie di coppo­le. E a macchiarlo, in effetti, han­no provato. Nel 2002 gli arrivò per posta un pacchetto anonimo. Era una tipica sicilianata: un filmi­no su una festa di nozze cui An­gelino aveva partecipato nel 1996. In qualche fotogramma, compare lui che bacia il padre della sposa, Croce Napoli, capo­mafia di Palma di Montechia­ro. Analogo filmetto è inviato agli avversari politici di Alfano dell’agrigentino,che però si in­dignano e lo difendono. Angeli­no spiega: «Ero stato invitato dallo sposo. Non conoscevo né la sposa, né suo padre». Gli cre­dono tutti, senza eccezione, es­sendo nota la sua idiosincrasia per la mafia. Lo ha dimostrato in questi anni da Guardasigilli, randellando niente male i mammasantissima insieme al Viminale di Bob Maroni. Una volta in tv disse: «Ai siciliani del­la mia età la mafia fa schifo». Tacque e ribadì: «La mafia fa schifo». Il motto piacque e a Pa­lermo se ne fece uno slogan per magliette e striscioni. Per que­ste ragioni - tra cui la giovane età in un Paese di matusa- ,An­ge­lino è considerato dai conter­raneilagloriadell’Isola. Ilmen­sile I love Sicilia lo ha eletto in gennaio, su cento califfi locali, il Califfone più potente. Dopo gli encomi, un rimpro­vero. Parlo per me. Come Guar­dasigilli ha zoppicato. Non per­ché, come si dice in giro, abbia fatto troppo in pro del Cav: Lo­do Alfano per sottrarlo ai giudi­ci, decreto blocca processi, ecc. Ma perché ha trascurato di fare quello che davvero avrebbe do­vuto: la riforma della giustizia, con la separazione dalle carrie­re. Data per imminente appe­na insediato, ha messo tre anni a partorirla e l’ha presentata so­lo un mese fa. Fuori tempo mas­simo. Imperdonabile. Come Guardasigilli si ferma a un cinque. Veda di prendere dieci come segretario.