Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 03 Venerdì calendario

IN CINA TORNANO I CERVELLI DALL’ESTERO

Una volta fuggivano. Oggi ritorna­no. Sempre più numerosi. La Ci­na lancia la sua sfida al mondo puntando su un mix “immateriale” fatto di conoscenze, studio, esperienze matu­rate in altri continenti. Scommette in­somma sui i cervelli. Sui talenti. Due da­ti, forniti dal Center for China and Globa­lization, catturano l’inversione di una ten­denza epocale. La Cina ha spedito nel mondo, dal 1978 ad oggi, oltre un milio­ne e mezzo di studenti. Quasi 500mila so­no rientrati in patria. Come scrive Asia Sentinel «la fuga di cer­velli che ha alimentato per decenni l’eco­nomia degli Stati Uniti, fornendo immi­grati qualificati, è ora al capolinea». Sono i due i fattori che hanno fermato l’emor­ragia. Le politiche di immigrazione sem­pre più severe sulle quali si sono orienta­ti gli Stati Uniti dopo l’Undici settembre e la crisi economica che ha attanagliato le economie di mezzo mondo nel biennio 2008-2009.
Le autorità di Pechino sanno che la partita è complessa e incrocia temi fondamentali come le dinamiche demografiche (leggi l’invecchiamento della popolazione) ma anche il radicale cambiamento di model­lo finora imperante nello sviluppo cinese (da fabbrica del mondo a economia in­centrata sull’innovazione). Al Dragone non basta contare sul ritorno della dia­spora. Pechino ha messo a punto un «pia­no nazionale di sviluppo dei talenti» de­stinato ad attrarre e mantenere persone altamente qualificate nei settori strategi­ci dell’economia. Come si legge su un rap­porto del Brookings Institution, la Cina punta ad avere 185 milioni (dagli attuali 114) di lavoratori al­tamente qualificati entro il 2020. Un o­biettivo “sposato” dallo stesso presi­dente cinese Hu Jin­tao per il quale «il ta­lento è la risorsa più importante per lo sviluppo del partito e del Paese».

Un balzo reso necessario dallo stesso in­vecchiamento della popolazione cinese. Costretta a fronteggiare in futuro una di­minuzione di manodopera a basso costo. Un dato su tutti: gli over 60 sono oggi il 13,26 per centro della popolazione (+2,93 rispetto al 2000).
Il ritorno dei talenti è un tassello della “nuova” Cina. Di un Paese la cui crescita sta sconvolgendo vecchi e consolidati e­quilibri.
Ingrediente fondamentale è pro­prio la grande importanza accordata al­la ricerca. Un recente studio dell’Acca­demia nazionale della scienza inglese, la Royal Society, ha “catturato” il terremoto che sta investendo la geografia della ri­cerca scientifica mondiale. Entro il 2013 la Cina supererà gli Usa per produzione scientifica. Gli Stati Uniti sono ancora lea­der mondiali con una spesa in ricerca (pubblica e privata) che si aggira sui 400 miliardi di dollari all’anno. Ma il prima­to a stelle e strisce vacilla. La spesa in ri­cerca e sviluppo cinese cresce del 25% al­l’anno, quella americana è diminuita del 4%. Nel 2009 la Cina ha investito nel set­tore 89 miliardi di dollari. Nel 2006 i sol­di spesi erano 34 miliardi: la cifra è qua­si duplicata. Nel 2010 il Dragone ha lan­ciato il treno più veloce del mondo. Ha effettuato 15 missioni spaziali, tutte di successo. Entro il 2020 avrà la sua prima stazione spaziale.