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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

L’arancione, bandiera solare che cancella i partiti tinta unita - Arancione è il colore della libertà, declinata come promessa di una «giunta di liberazione dai partiti» offerta ai napoletani da Luigi De Magistris, o come il «maggio milanese» della rivoluzione pacifica contro il ventennio berlusconiano officiato da Giuliano Pisapia

L’arancione, bandiera solare che cancella i partiti tinta unita - Arancione è il colore della libertà, declinata come promessa di una «giunta di liberazione dai partiti» offerta ai napoletani da Luigi De Magistris, o come il «maggio milanese» della rivoluzione pacifica contro il ventennio berlusconiano officiato da Giuliano Pisapia. Arancione è il colore del buonumore e della felicità delle strabordanti piazza Duomo e piazza Plebiscito, imbandierate a festa e fitte di palloncini, con De Magistris che, in omaggio al vitalismo partenopeo, converte un drappo arancio in una superscenografica bandana. E così l’arancionismo fa il suo ingresso, dalla porta principale delle elezioni cittadine di questi giorni, anche nelle cronache politiche nazionali, diventando, come già nelle altri parti del mondo, la traduzione politico-cromatica della voglia di cambiamento e di aria nuova. Fatto proprio da folle progressiste e piazze di centrosinistra che hanno voluto, giustappunto, urlare compostamente la loro voglia di voltare pagina rispetto a governi nazionali e locali che, seppur idealmente affini, avevano frustrato le loro aspettative di rinnovamento, per inabissarsi in quella palude immota e resistentissima ad ogni sollecitazione che sa essere, non di rado, la nostra politica. E difatti, in origine, era stato proprio il colore delle rivoluzioni non violente che hanno messo in ginocchio i grigi e tetragoni regimi postsovietici dell’Ucraina e delle altre repubbliche dell’Est, cui i rivoltosi hanno contrapposto un colore caldo e allegro (e gli insegnamenti dell’ultraottantenne filosofo statunitense Gene Sharp, di cui è appena uscito in italiano, per i tipi di Add, il manuale anti-dittature Liberatevi!). Un colore eminentemente trasversale, quindi, adattissimo alla nostra età postdemocratica dove le ideologie sono definitivamente tramontate, e in grado di accomunare (in termini ipotetici e ideali) la «rivoluzione gentile» di Viktor Yushenko e la festa meneghina per l’elezione a sindaco del mite gentiluomo Pisapia. I colori, come insegna colui che viene universalmente riconosciuto quale massimo esperto vivente della loro storia, il medievista francese Michel Pastoureau, rappresentano delle autentiche cartine al tornasole della nostra mentalità, e per questo la politica ha scelto di avvalersene sposandone o reinventandone le sensazioni e gli stati d’animo da essi prodotti. Ecco, allora, che assume un senso chiarissimo e inequivocabile disegnare una macchia di colore così pronunciato sullo sfondo dei cieli grigi degli ex Paesi satelliti dell’Unione Sovietica o della Milano che, non più da bere da decenni, ha perso da tempo la propria vitalità per convertirsi alle spinozione passioni tristi dell’impotenza e della disgregazione e anomia sociale. A cui voleva contrapporsi, come scopriamo facendo un po’ di archeologia politica, il primo «arancionista» italiano, Riccardo Sarfatti, con la sua sfortunata (ma, letta con gli occhi di oggi, molto anticipatrice) corsa per la presidenza della Regione Lombardia dell’aprile del 2005. Un progetto, il suo, che evocava la necessità di stare «dentro la politica, fuori dalle correnti», nel quale possiamo leggere il mood dell’arancionismo dei tanti elettori progressisti che hanno premiato personalità, idee e tecnologie comunicative (decisive in tutte le rivoluzioni colorate), estranee alle liturgie, alle lentezze e alle tristezze partitocratiche. Abbandonato il rosso, il colore del popolo parigino ottocentesco sollevatosi nella Comune, la società civile che vuole nuovi governi e decision makers per i propri comuni, opta per l’arancione, altrettanto vitale, ma meno conflittuale e identitario (e, come ci direbbero le dottrine della New age, estremamente olistico e capace di ricomporre l’unità del corpo, in questo caso sociale). Esito, per molti versi, di una scelta dal basso, proveniente dalla mobilitazione orizzontale di quelli che i politologi chiamano i «cittadini-elettori», l’arancionismo può rappresentare per la sinistra di questi nostri tempi postmoderni una modalità cromatica molto sexy per unire ciò che alcuni apparati di professionisti della politica, innamorati di tatticismi e verticismo, tendono troppo spesso a dividere. Finiti (o assai malandati) il comunismo e il socialismo, l’arancionismo provvede a fornire la tonalità forte delle coalizioni arcobaleno che gli italiani hanno mandato al potere nelle città in queste due ultime due settimane. Colore «cangiante» e solare, che non mette di certo in soggezione, disponibile a usi e impieghi differenti, in grado di accogliere significati e segni politici variabili, l’arancione interpreta al meglio il desiderio di cambiamento ed emancipazione sempre presente negli elettorati delle società democratiche, naturalmente predisposti a mutare direzione di marcia (e classi dirigenti) in politica. Se il Change di Obama avesse un colore, allora, non potrebbe che essere l’arancione (cercando, beninteso, di non fare la brutta fine della ex premier ucraina Yulia Timoshenko, altra «ex arancio» celebre…).