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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

Keilson Hans

• Bad Freienwalde (Germania) 12 dicembre 1909, Hilversum (Olanda) 31 maggio 2011. Scrittore • «[...] sua opera più rappresentativa La morte dell’avversario. Considerato uno dei massimi autori del Novecento [...] era un ebreo [...] Pubblicò il suo primo lavoro nel 1934, un anno dopo l’avvento del nazismo. Fuggito in Olanda a causa delle persecuzioni antiebraiche in Germania, durante la Seconda guerra mondiale ha partecipato alla resistenza. Successivamente si è dedicato alla psicoanalisi, impegnando l’intera sua vita nella cura dei bambini colpiti dal trauma della guerra e della deportazione [...]» (“la Repubblica” 27/6/2011) • «[...] è fuggito dalla Germania nel 1936, si è nascosto in Olanda dove è entrato nella resistenza clandestina, ha vissuto la tragedia infinita della morte dei genitori ad Auschwitz, ha firmato un saggio di importanza decisiva nella storia della psicanalisi sul trauma “sequenziale” dei bambini perseguitati dai nazisti. Ma [...] è stato soprattutto uno studioso e uno scrittore. Il mondo lo riscopre [...] quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione di due dei suoi tre romanzi, Komödie in Moll e Der Tod des Widersachers: (La morte dell’avversario [...]). “È un genio. Leggete questi libri e unitevi a me nell’aggiungerlo alla lista dei più grandi del mondo” , ha scritto sul “New York Times” Francine Prose. Nel 1962 “Time” aveva inserito Der Tod des Widersachers nella selezione dei dieci migliori romanzi dell’anno, accanto a Faulkner, Nabokov, Borges. Poi molto silenzio, fino alla vittoria, nel 2008, del premio letterario annuale della “Welt” [...] “[...] Il mondo letterario non è il mio mondo. Io sono un medico, ho scritto anche molte ricette che sono altrettanto importanti, forse di più. Il mio compito era di occuparmi delle persone”. [...] Il suo primo romanzo, Das Leben Geht Weiter, pubblicato in Germania nel 1933, fu vietato, poco dopo, perché l’autore era ebreo. In quegli anni terribili, gli anni dell’ascesa di Hitler, Keilson fu costretto a lasciare la professione di medico. Per guadagnarsi da vivere fece l’istruttore sportivo e il musicista. “La musica ha avuto una parte importante nella mia vita [...] Ho interpretato Il trillo del diavolo di Giuseppe Tartini [...] nella versione originale, non nella partitura di Fritz Kreisler”. Nel 1935 conobbe Gertrud Manz, grafologa, che esaminando la scrittura dell’ex imbianchino austriaco gli disse: “Quest’uomo manderà a fuoco il mondo” . Una premonizione sconvolgente, non dissimile da quella che il narratore sente fare dal padre, negli stessi anni, in Der Tod des Widersachers: “Che Dio abbia pietà di noi se lui dovesse andare al potere”. L’anno successivo Keilson fuggì in Olanda con Gertrud (che, cattolica, si convertì poi all’ebraismo in segno di protesta per la posizione di Pio XII nei confronti della Germania di Hitler). La coppia visse nascosta in due case diverse e nacque una bambina che non poteva avere un padre. [...] La vita in Olanda fu come quella di tanti altri, uomini e donne fuggiti dall’orrore. Parte di queste esperienze si ritrovano in Komödie in Moll, un romanzo scritto con grazia e con dolore, dai toni spesso inaspettatamente lievi: un commesso di profumeria ebreo, Nico, muore per cause naturali mentre vive nascosto in casa di due giovani sposi, Wim e Marie, che si trovano ad affrontare la convivenza familiare con un estraneo, il rischio angosciante di essere scoperti, le complicazioni inflitte, quasi come in un thriller, da un destino totalmente imprevisto. Keilson inizia questo libro nel 1940, dedicato a Leo e Suss Reintsma, i due olandesi che lo ospitarono [...] e ne seppellisce la prima parte in giardino perché è il momento di agire, di entrare nel movimento di resistenza Vrije Gropen Amsterdam. “Mi chiesero [...] se ero pronto a lavorare in una organizzazione illegale che nascondeva i bambini ebrei e aiutava quelli che erano costretti a vivere lontano dai genitori. Il primo documento che mi diedero era falsificato male, molto pericoloso. Poi, fortunatamente, ho avuto un nuovo passaporto, fatto molto meglio, che fu riconosciuto come vero dalla polizia”. Questo lavoro è rimasto per sempre la base dei suoi studi scientifici, ispirati da quella che Keilson chiama “una questione fondamentale per l’umanità”. “Se non c’è rispetto per i bambini [...] l’uomo è condannato alla distruzione. E il rispetto che gli adulti devono avere per la vita convince i bambini che sono amati. Questo è importante. Non è una questione di religione, è parte dell’essere uomini”. Non è un caso che una delle scene più forti di Der Tod des Widersachers: (pubblicato nel 1959, cinque anni dopo un altro romanzo, meno riuscito, dedicato anch’esso al “cuore nero” della Germania, La morte a Roma, di Wolfgang Koeppen) sia proprio il racconto, ascoltato per caso dal narratore, di un ragazzo che aveva partecipato alla profanazione di un cimitero ebraico iniziata proprio dal settore dedicato ai bambini “perché era più facile e la terra era più morbida”. Continuare ad aiutare quei bambini è stata una delle ragioni per cui Keilson ha deciso di restare in Olanda. La lingua l’aveva imparata seguendo le partite di calcio dalla voce di Han Hollander, il grande radiocronista olandese deportato e ucciso nel 1943 a Sobibór, un campo di concentramento situato sul fiume Bug, nella zona di Lublino, in Polonia, dove — come scrive Hannah Arendt in La banalità del male— “non si facevano mai neppure le selezioni degli individui idonei al lavoro”. È sempre Hannah Arendt a ricordare, nella sua cronaca del processo Eichmann, che “la catastrofe olandese non ebbe l’uguale in nessun altro Paese occidentale”. “Entro il luglio del 1944— prosegue— furono deportati centotredicimila ebrei. Tre quarti di tutti gli ebrei che vivevano in Olanda furono uccisi”. Tra i centotredicimila, anche i genitori di Keilson. [...] “Nel 1939 li ho portati in Olanda. Ma erano troppo vecchi e malati per nascondersi. Non sapevano parlare olandese. Mio padre, che era stato decorato con la croce di ferro per aver combattuto nella Prima guerra mondiale, pensava che i tedeschi sarebbero stati più umani nei suoi confronti. Questo è un dolore che non si può dimenticare, da questo dolore non si guarisce”. E la profondità di questa ferita ritorna in alcune pagine di Komödie in Moll (dove Nico non resiste alla disperazione e dice: “È una fortuna che i miei genitori siano già morti”) e in Der Tod des Widersachers, dove è il narratore che parla: “Quando me ne andai, fui confortato dal pensiero che fossero vecchi e malati. Che cosa sarebbe potuto loro succedere? Ma sapevo che mio padre aveva già preparato il suo zaino in segreto alcune settimane prima, nel caso che fossero venuti a prenderlo. E li lasciai al loro destino”. Non bisogna però credere, detto questo, che i libri di Keilson siano dominati dalla biografia del suo autore o siano illuminati di una sorta di luce riflessa. È lui stesso ad ammettere che ciò che ha vissuto è “il nocciolo” di quello che ha scritto. Ma poi aggiunge, con un mezzo sorriso: “Nella mia vita ho messo molte vesti e fatto molte parti”. A rompere il cerchio del memorialismo ci pensano, come dicevamo, il tono unico, a volte leggero e spazioso, di Komödie in Moll e la superba iperbole intellettuale di Der Tod des Widersachers: un libro tutto costruito sul rapporto “mortale” tra il protagonista e il suo avversario, Hitler (che non viene chiamato mai per nome, ma solo B.), e sull’ossessione di capire la logica delle sue assurde mosse. Ma, al di là di questa discesa nell’orrore per indagare— nelle forme e nei tempi di un grande romanzo — anche sul legame tra la vittima e l’aguzzino, l’analisi di Keilson del fenomeno hitleriano si allontana dai canoni più frequenti. “L’odio è autodistruttivo, e i nazisti non hanno fatto del male solo agli ebrei ma anche a se stessi. Il nazismo è stato un problema per l’uomo [...] Non so se tutti gli ebrei siano d’accordo con me, ma non parlo a nome del rabbinato” . In tutto questo, la “stupidità politica” della Germania. “I tedeschi [...] hanno dato il potere a un uomo che non era in grado di pensare al rischio che era legato all’opera che aveva intrapreso. Non si sono mai chiesti che cosa sarebbe successo se Hitler non avesse vinto. Questo è incredibile: l’irresponsabilità”. [...]» (Paolo Lepri, “Corriere della Sera” 3/2/2011).