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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

LA LEGA E IL CASO BRIANZA CORRE DA SOLA (E PERDE) —

Dieci sconfitte e quattro vittorie. Il bilancio «scorporato» della Lega è oggettivamente pesante. Su quattordici candidati in corsa per il partito di Umberto Bossi, da soli o con il Pdl, sono arrivati al traguardo solo Attilio Fontana a Varese; Marzio Favero a Montebelluna (Treviso); Mario Ongaro a Cordenons (Pordenone) e Giovanni Carancini a Salsomaggiore Terme (Parma). Troppo poco, evidentemente, per bilanciare le «brucianti» sconfitte di Novara e Mantova. Ma i segnali più allarmanti per il quartier generale forse arrivano dalla cintura milanese che si allunga a elastico verso la Brianza. Usciti a sorpresa al primo turno a Gallarate (provincia di Varese), e presentendo la rotta di Milano, i leghisti cercavano la rivincita nelle terre di antico insediamento, in quella «fascia pedemontana» , i cui impulsi «localistici» erano stati descritti da Ilvo Diamanti ancora nel 1996 («Il male del Nord» Donzelli editore). Desio, 40.300 abitanti, è la porta di ingresso brianzola della pedemontana. Ma ieri, al primo piano di un palazzo comunale di rara bruttezza si è insediato il neosindaco Roberto Corti, 39 anni, un uomo del Pd che arriva dagli oratori. A Desio quasi tutto rimanda alle «radici cristiane» , così care agli europarlamentari leghisti. Davanti al municipio non giganteggiano Garibaldi o Vittorio Emanuele a cavallo. C’è, invece, un piccolo Papa Wojtyla color oro. Il parcheggio a fianco si chiama «Don Luigi Giussani» , perché il fondatore di Cl è nato qui, come pure Pio XI, papa Ratti. Terra cattolica, terra bianca, terra moderata. Senza varchi per la sinistra, persino negli anni di ferro della grande industria, delle tessiture storiche Gavazzi e Tilane, o dell’Autobianchi, che negli anni Settanta dava lavoro a 4.000 operai. Di tutto ciò oggi non resta niente. La fabbrica delle automobili è stata chiusa nel 1992, la famiglia Gavazzi ha abbandonato la manifattura e si è comprato il fiorente Banco di Desio. Tutto cambiato, tranne una cosa fondamentale: il moderatismo politico, i toni bassi, la concezione di una società, si direbbe oggi, inclusiva, con una comunità di 2000 pachistani, frequentatori assidui delle scuole di italiano per stranieri e dei corsi per saldatori organizzati dai Missionari Saveriani. Molti immigrati hanno già superato la prima fase: sono diventati imprenditori, magari nel Polo tecnologico della Brianza (100 aziende sull’area ex Autobianchi), girano con grosse macchine e mandano i figli nelle Università milanesi. Solo Desio mancava all’appello del filotto dei sindaci leghisti che parte da Monza (il capoluogo) e taglia tutta la Bassa Brianza: Lissone, Cesano Maderno, Lazzate, Seregno e altre ancora.
L’occasione si era presentata sotto forma di trauma: l’anno scorso la Procura di Milano, individua proprio a Desio una centrale della ’ Ndrangheta, in chiari rapporti con alti gradi della burocrazia e della politica locale. E quando in tv Roberto Saviano accusa la Lega di coltivare relazioni d’affari con le ’ ndrine, la prima risposta sul campo del ministro dell’Interno Roberto Maroni è proprio Desio. Fuori dalla giunta e rottura dell’alleanza con il Pdl. Per tutti questi motivi per Umberto Bossi e Maroni era così importante vincere a Desio. Consolidare in modo forse definitivo l’eredità politica moderata della vecchia Dc, riaffermare la «diversità» etica dei Lumbard (niente legami con la ’ Ndrangheta) e, soprattutto, sperimentare la forza d’urto della formula «Lega contro tutti» (prova d’appello dopo Gallarate). Non ha funzionato: il candidato Silvio Arienti, un ginecologo settantenne, si è fermato al 41,8%. E ora bisogna capire se la colpa è delle «ripicche» di quelli del Pdl «che hanno invitato a non votare per il Carroccio» , come sostiene Andrea Villa, 30 anni, consigliere comunale (confermato). Oppure c’è dell’altro. Per esempio messaggi polverosi (tipo i manifesti con la porta di Brandeburgo e la scritta «no al comunismo» ), o sfasati rispetto a umori sociali che non si fanno più turbare dal «baubau» di una moschea (ammesso che effettivamente qualcuno a Desio volesse costruirla). L’impressione è che la Lega abbia mancato di dinamismo in una delle realtà più dinamiche della Lombardia; che abbia sottovalutato quello «spirito di coalizione» («noi andiamo da soli, lasciamo agli altri i compromessi» ) rivelatosi indispensabile per raggiungere il 51%.
Gli avversari politici del Carroccio riprendono colore dopo anni di «semi-clandestinità» e ora ritengono possibile una «de-leghizzazione» anche della Brianza e da lì della Lombardia. Si vedrà, naturalmente. Nel frattempo è utile prendere nota anche del risultato di Rho (50 mila abitanti) alle porte di Milano, per tutti la città sede della Fiera per l’Expo, ma in casa Lega un modello esemplare per la «cacciata» dei rom. Può dispiacere, ma nel 2007 la parola d’ordine «Zingaropoli» qui aveva funzionato. L’anno prima la giunta di centrosinistra aveva costruito un campo nomadi regolare, che evidentemente la maggioranza dei cittadini non aveva mai accettato. «Quando siamo tornati al governo— racconta oggi Fabrizio Cecchetti, 33 anni, candidato leghista nell’ultima tornata — abbiamo chiuso altri 17 campi abusivi» . Ma anche queste «referenze» non sono risultate sufficienti. In fondo a Rho vivono circa 10 mila immigrati e probabilmente nel 2011 l a multietnicità esige qualche proposta in più. Anche a Rho la Lega ha scelto di presentarsi da sola per rompere definitivamente con il Pdl locale, considerato alla stregua di un comitato d’affari. E ha perso. Per poco («solo 300 schede, dice Cecchetti» ), ma ha perso. Sarebbe però ingeneroso, e anche fuorviante, derubricare i casi a incidenti locali. La partita lombarda era stata pianificata con cura dai vertici della Lega. E «il territorio» , che sia Desio, Rho o Mantova, ora vuole sapere come e con chi si ricomincia.
Giuseppe Sarcina (Ha collaborato Marco Mologni)