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 2011  maggio 31 Martedì calendario

ULIVI AL NORD, GRANO AD APRILE ECCO COME SARÀ L´ITALIA NEL 2050

Non ci saranno ulivi in Valpadana, ma poco ci manca. L´albero simbolo del Meridione potrebbe diventare parte del paesaggio collinare del Nord. Cambieranno le aree e gli habitat dei grandi vigneti doc. E dopo il vino, la tradizionale sfida fra Francia e Italia potrebbe estendersi anche all´olio. Se infatti il clima cambia prima di tutto in cielo, i suoi effetti ci mettono poco a scendere in terra. Un ritratto del paesaggio italiano del 2050 alla luce del clima che muta è quel che delinea il rapporto Circe, promosso dall´Unione Europea e concluso la settimana scorsa con una conferenza internazionale a Roma.
Aumenta la temperatura (tra 0,8 e 1,8 gradi), sale il livello dei mari (tra 6 e 12 centimetri) e scende quello di laghi e fiumi (meno 36% di acqua portata al mare) per effetto della diminuita piovosità (tra il 5 e il 10%). I consumi elettrici aumenteranno d´estate per l´uso dei condizionatori, ma d´inverno ci sarà meno bisogno di riscaldare le case. Il Pil italiano subirà un calo dell´1% circa e le località favorite per le vacanze slitteranno verso nord. Ma sarà soprattutto l´agricoltura a dover giocare con attenzione le proprie carte in vista del 2050. "Si ridurrà la durata del ciclo vitale di grano duro e vite", l´aumento di anidride carbonica nell´atmosfera "avrà un effetto positivo" sulla crescita delle specie vegetali, ma "i vigneti diventeranno più vulnerabili a climi caldi e secchi" mentre l´area ottimale per gli ulivi "si estenderà verso nord e verso est" si legge nel capitolo di Circe redatto dall´università di Firenze e dall´Istituto di biometeorologia del Cnr.
«Con il progetto Circe la scienza del clima diventa meno ideologica e più fattuale» spiega a Scienzainrete Antonio Navarra dell´Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, coordinatore del progetto che ha analizzato il futuro climatico di tutto il bacino Mediterraneo, non solo dell´Italia. Gli studi a disposizione fino a ieri (frutto soprattutto del lavoro dell´Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, l´ente Onu incaricato di studiare il cambiamento climatico) suddividevano l´Europa in grandi regioni, di circa 300 chilometri di lato. Circe porta il suo dettaglio a 30 chilometri, mettendo a fuoco anche alcune coltivazioni e specie boschive che popolano le foreste italiane. Faggi, querce e pini già tra il 1985 e il 2005 hanno reagito al riscaldamento e alla diminuzione delle piogge arrampicandosi sulle montagne, con la quota del loro habitat ideale aumentata 29 metri ogni decennio.
Oltre a salire, i boschi italiani aumentano di superficie. "Tra il 1990 e il 2000 l´area forestale nel Mediterraneo è cresciuta del 10%" spiega Circe. È passata cioè da 69 milioni di ettari a 76, raggiungendo i 79 nel 2005. «L´anidride carbonica di cui l´atmosfera e ricca accelera la fotosintesi, aumentando la produzione di foglie e soprattutto legno» spiega Giorgio Matteucci, ricercatore dell´istituto per l´agricoltura e i sistemi forestali del Cnr. «Questa tendenza è frenata dalla mancanza di acqua. Ma è favorita dai composti azotati dell´atmosfera che offrono nutrimento alle piante e sono anch´essi frutto dell´uso di fertilizzanti e combustibili fossili». Non tutti i cambiamenti climatici vengono per nuocere, per quanto riguarda la vegetazione. «Ma le specie che più amano l´azoto - prosegue Matteucci - sono quelle meno pregiate dal punto di vista della biodiversità, penso soprattutto ai rovi».
E le spine non mancheranno per le colture pregiate della penisola. «Il grano duro è una specie annuale. Ai cambiamenti climatici si può rispondere con rapidità modificando la cultivar o anticipando i cicli di semina e raccolta. Ma per ulivi e viti la situazione è più delicata» spiega Marco Bindi, professore di agro-climatologia all´università di Firenze, uno dei ricercatori di Circe. «Gli ulivi nel sud Italia si troveranno ad affrontare condizioni limite. Le loro radici sono più corte e superficiali rispetto alla vite e periodi di siccità prolungati rischiano di metterli in crisi. In compenso il loro habitat si estenderà anche a nord dell´Appennino e lungo le coste atlantiche». I vigneti resistono meglio alla siccità, e un calo della quantità di uva prodotta spesso è controbilanciato da una migliore qualità. «Il rischio per le viti arriva piuttosto dagli inverni miti con le gelate tardive» prosegue Bindi. «E per quei vigneti che sono legati a una località precisa, i cambiamenti climatici potrebbero portare a uno spostamento dell´habitat ideale intorno al 2050». Tra i figli del cambiamento climatico, paradossalmente potrebbe esserci il Chianti prodotto in Valpadana.