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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

QUELLA VITA DA CAGLIOSTRO RACCONTATA AI FRANCESI

La lettura di questa biografia di Curzio Malaparte (Malaparte, vies et légendes, Editions Grasset, pagg. 640, euro 23), scritta in francese da un diplomatico italiano, Maurizio Serra, spinge anche i critici parigini a rievocare quel che Proust sostiene nel Contre Sainte-Beuve. In particolare che un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi. Mentre Sainte-Beuve, partendo dal principio che un autore quando scrive è inseparabile dal resto della sua personalità, si serviva degli aspetti esteriori dell´esistenza e del carattere dello stesso autore per spiegarne l´opera letteraria. Il lettore, dalla sua neutrale cattedra di non critico e di non scrittore, è disponibile alle due verità. Egli può ovviamente apprezzare un libro ignorando la vita e il carattere dell´autore; cosi come può sentire il bisogno di sapere quel che l´autore è stato o è nella realtà. C´è anche chi ama le biografie, capita soprattutto per i classici, senza conoscere le opere. Né sentirne il (mi sembra) logico, anzi imperativo, bisogno.
Questo potrebbe accadere con la biografia di Malaparte, costruita da Maurizio Serra secondo la migliore tradizione anglo-sassone. Ne risulta un´esistenza tanto densa da appagare i più esigenti tra gli appassionati di trame fitte di ambiguità, paradossi, menzogne, vizi. Stando alla fama che gli è sopravvissuta e secondo i clichés confutati dal pur non indulgente biografo, quel toscano (il cui vero nome era Curzio Suckert) era martire e commediante, mitomane ed esibizionista, avido di piacere e camaleonte, pronto a servire tutti i poteri per trarne vantaggi. Insomma era una specie di Cagliostro delle lettere moderne.
Ho ripreso fin qui, alla lettera, le parole del biografo, il quale però aggiunge, subito dopo, offrendo fin dalle prime righe la chiave dell´opera, che il personaggio aveva una sua coerenza intima e un´evidente modernità. Malaparte sarebbe stato il profetico interprete della decadenza europea. Il suo talento compie il miracolo: in lui l´incoerenza manifesta, esteriore, diventa coerenza intima; la viltà (non fisica perché Malaparte non mancava certo di coraggio) si trasforma in qualcosa di somigliante alla virtù; e l´affabulazione può rivelarsi verità. O quasi.
Il paradosso Malaparte è un romanzo da accostare ai suoi veri romanzi: La Pelle, Kaputt, Mamma marcia: anche se tra gli elementi costitutivi della sua vita non c´è la quantità di carne, sangue, merda, sperma che si trova nelle pagine dei suoi libri. Abbagliato da Kaputt e La Pelle, e prendendo per autentici i fantasiosi racconti autobiografici dell´autore, credendo insomma alle sue bugie, a Milan Kundera è sfuggita (stando a quel che ha scritto in Un incontro) una delle opere più accattivanti e sconcertanti dello scrittore da lui appena scoperto e subito esaltato: la sua vera vita.
Maurizio Serra non è il primo a raccontarcela, ma per quanto ci è dato sapere, il suo saggio è senz´altro il più completo (senza dimenticare il sempre valido Arcitaliano di Guerri). Ed anche il più attuale, perché agevolato dal tempo. E il tempo, come accade per il passaggio dalla memoria alla storia, può cambiare i giudizi sui protagonisti di un´epoca. Li sfronda dalle passioni. Induce a esami più distaccati. In questo caso il lavoro ha reso necessarie più di seicento pagine, che si concludono con testimonianze dirette di persone, ormai rare (Malaparte avrebbe 113 anni), che l´hanno incontrato, frequentato, o che gli sono state amiche in alcuni cruciali periodi della sua esistenza. Dall´ampio, profondo e critico ritratto, Malaparte esce quel che era: un arcifascista. Le prove sono innumerevoli ed evidenti nei vent´anni del regime che coincidono con quelli più vigorosi del giornalista-scrittore. Non esita ad esempio a difendere Mussolini dopo il delitto Matteotti. Ed è una irrisoria attenuante il confino a Lipari (durato tra l´altro qualche mese e non cinque anni come lui disse dopo la Liberazione) perché non fu dovuto a una ribellione al regime, ma a una vicenda personale con Italo Balbo che non inquinò la benevolenza di Mussolini nei suoi confronti.
E tuttavia il fascismo di Malaparte non va cercato troppo negli innumerevoli episodi che ritmano la sua vita nel ventennio. Il fascismo fa parte del suo carattere, è la reazione viscerale alla democrazia parlamentare che lo ripugna. Lui ha il gusto della forza, «sola, vera ideologia di un uomo che le disprezzava tutte». L´essenziale è imporre una volontà potente agli individui, ai popoli, alle nazioni. Poco importa che questa volontà sia espressa da Mussolini, da Mao, da Lenin, da Stalin. Con slancio fascista Malaparte li ammira e li ripudia via via tutti. Lui è come la donna sedotta dal vincitore, e che si commuove al tempo stesso per il vinto. Ma quest´ultimo sentimento verso chi soccombe, precisa il biografo, è più presente nella sua opera letteraria di quanto lo sia stato nella sua vita.
Nonostante la rigorosa severità nelle ricostruzioni e nei giudizi, tra il biografo e Malaparte si è creato qualcosa di simile a una comunione affettiva. Il processo di identificazione può condurre a un´inevitabile empatia. La quale in questo caso non inquina l´opera e non influisce sulla sensazione che se ne può ricavare. Il Malaparte che esce dalla penna di Maurizio Serra è un intellettuale testimone, la cui missione è osservare non impegnarsi. E comunque l´impegno è un fatto secondario, una necessità del momento. Imprigionato in un individualismo irresistibile, che al tempo stesso lo rende libero, Malaparte resta un voyeur. Un osservatore del suo tempo che tutti trattano come un traditore perché pur essendo stato in favore di tanti è sempre stato, come un anarchico doc, contro tutti. E quindi "nostro" dice il biografo, coinvolgendoci, con quell´aggettivo possessivo al plurale, in qualche cosa che non ci è peculiare. Che non ci appartiene, anche se ci incuriosisce. Come testimoni.