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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

QUANDO GOLDMAN «CORTEGGIÒ» GHEDDAFI

Muammar Gheddafi come Warren Buffett: è mancato davvero poco che anche il Colonnello, come l’Oracolo, diventasse un grande azionista di Goldman Sachs nel pieno della crisi. Nel 2009 la banca offrì a Gheddafi di entrare con una quota significativa per compensarlo di perdite subite da investimenti che il suo fondo sovrano, la Lybian Investment Authority (Lia), le aveva affidato. Perdite ingenti: il 98% d’un capitale da 1,3 miliardi.

Tripoli non entrò mai in Goldman. Ma la ricostruzione della saga, opera del Wall Street Journal, rivela gli stretti, inquietanti e a volte rocamboleschi rapporti instaurati con il leader libico, prima del recente conflitto, dal business occidentale. Goldman fu tra i tanti istituti - da Societè Generale a Hsbc, da Jp Morgan alla defunta Lehman - che si contesero mandati per gestire fondi della Lia dopo il disgelo politico nei confronti di Tripoli, che aveva rinunciato agli arsenali di distruzione di massa e risarcito le famiglie delle vittime dell’attentato di Lockerbie.

Goldman, agli inizi del 2008, offrì ai libici nove scommesse a base di opzioni: una su un paniere di valute, le altre otto su sei titoli azionari, UniCredit, Eni, Citigroup, Santander, Allianz e Électricité de France. Peccato che il guadagno dipendesse dalla prospettiva che i valori di quegli asset superassero il prezzo stipulato nelle opzioni d’acquisto. Invece, con la bufera finanziaria, accadde il contrario. Ancora nel febbraio 2010 di 1,3 miliardi restavano 25,1 milioni.

La cosa non piacque ai libici: un incontro con dirigenti di Goldman a Tripoli finì in urla, minacce e fuga sotto scorta dei banchieri. Goldman decise di fare ammenda: mise a punto, in mesi di negoziati, sei diverse formule per reintegrare le perdite. Una davvero simile a un accordo raggiunto con Buffett: la Lia avrebbe investito 3,7 miliardi nella banca in cambio di azioni privilegiate per 5 miliardi, con rendimenti annuali fino al 9,25% per 40 anni. Buffett, nel settembre 2008, in cambio di 5 miliardi che aiutarono Goldman a non soccombere alla crisi ricevette titoli con rendimento del 10% più warrant.

L’intesa con Tripoli non venne però trovata: i libici temevano di esporsi a Goldman durante il collasso subprime. E chiedevano termini migliori. L’ultima ipotesi avanzata dalla banca fu un fondo alle Cayman Island con bond aziendali di qualità per 5 miliardi e rendimento annuale del 6% per vent’anni. Più 50 milioni per la consulenza del cognato del presidente della compagnia petrolifera libica. L’ultimo incontro fu nel giugno 2010. Il resto in Libia è storia recente, non più finanziaria.