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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

LA QUARTA VITA DI BLATTER BOMBER DI UTILI E SCANDALI - I

conti della Fifa tornano, anzi no. Quasi un gol, non-gol, uno di quelli contro cui il signore della federazione internazionale, lo svizzero Joseph Blatter, ha fatto catenaccio in tutti i suoi anni di presidenza. Oggi si presenta al congresso senza rivali, dopo i veleni dei giorni scorsi (e dell’ultimo decennio). L’unico rivale, il qatariota Mohammed bin Hammam, è stato sommerso dalle accuse di corruzione.

Un calcio ecumenico

La presidenza di Blatter è discutibile (Maradona l’ha definita una "mafia", Pelè un "Belzebù"), ma gli va riconosciuto di essere stato lungimirante e di aver ampliato il mercato del calcio, così i conti stanno (quasi) tutti dalla sua parte. Con lui le federazioni sono passate da 200 a 208: ultimo arrivato, nel 2007, è il Montenegro di Savicevic. Con lui le squadre che partecipano al Mondiale sono salite a 32: un gigantismo un po’ megalomane che ha fatto lievitare a 4.189 milioni di dollari i ricavi del quadriennio 2007-2010 (+59% sui 2.634 milioni di dollari del periodo 2003-2006, +143% sui 1.721 milioni degli anni 1999-2002). Con lui i diritti tv sono passati dai 746 milioni di euro del Mondiale nippo-coreano del 2002 ai 2.100 del Sudafrica 2010; con lui le riserve sono passate da 76 a 1.280 milioni di dollari.

Una macchina da soldi, un uomo apparentemente inattaccabile: ma, a ben vedere, soprattutto alla voce risultato, qualche crepa si apre. Oltre 630 milioni di dollari di utile negli ultimi quattro anni, ma 663 nel periodo precedente, spese in crescita dell’81% e soprattutto l’incidenza percentuale del risultato di bilancio rispetto al fatturato è in calo: nel 2010 l’utile rappresentava il 16% del fatturato, il 33% nel 2006. Eppure il Sudafrica è stato una miniera d’oro per la raccolta dei diritti tv, sempre più Paesi, anche piccolissimi e poverissimi assetati di Messi e Rooney. E per le sponsorizzazioni: i grandi gruppi hanno versato nelle casse della Fifa oltre un miliardo di dollari, e ora, dopo le ombre su Blatter e sui collaboratori, sono sul piede di guerra. Dalla Adidas alla Coca-Cola, dalla Visa alla Emirates, gli sponsor storcono il naso e dichiarano il loro disappunto.

Nelle tasche del presidente

Una leadership così ricca che il suo satrapo, magnanimo, lo scorso anno, a Johannesburg, aveva sottolineato che da Zurigo partono ogni anno 550mila dollari per tutte le federazioni: «Questa è una specie di dividendo; qualche delegato mi ha chiesto quando passeremo alle stock options. La nostra forza è nella prudenza». Che cosa pretendere di più? Un lauto assegno impensabile a inizio Novecento: anzi, nel 1904, le prime sette federazioni che, a Parigi, in Rue de Saint Honoré fondarono la Fifa, dovevano pagare 50 franchi dell’epoca.

Blatter ha fatto del calcio un prodotto a uso e consumo della società globale: «In questa crisi mondiale, il calcio tira ancora». E va governato con il bastone e la carota, con contabilità "creativa" e segreti. Non ultimo quello sul suo stipendio, il cui ammontare è noto solo per il 2003: 1,6 milioni di euro circa (da arrotondare semmai in eccesso), più dell’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan. Sul tema, nessuna smentita, solo una risposta piccata: «Rispetto ai manager delle quotate in Borsa, il mio salario è quello di uno scolaretto».

Il redde rationem

Oggi, a Zurigo, 208 delegati avranno un compito facile facile, ci sarà un nome solo sulla scheda (la maggioranza a 105 voti è puro burocratese, a meno che il 75% dei rappresentanti non chieda il rinvio). Proprio quello di Blatter, in sella dall’8 giugno 1998. Ottavo presidente della Fifa, se oggi verrà rieletto per la quarta volta sarà stato in carica per cinque Mondiali e avrà vissuto a Zurigo per quarant’anni: ha iniziato come direttore tecnico nel 1975. La vita alla Fifa di questo signore dal sorriso irridente è stata un continuo dribblare scandali e avversari mettendo in campo un calcio sempre più universale.

L’ultimo spettacolo

Ha dribblato anche l’accusa, partita da una denuncia di Mohammed bin Hammam, il suo rivale. Blatter sarebbe stato a conoscenza di pagamenti per comprare i voti di alcuni rappresentanti che hanno scelto i Paesi del Mondiale del 2018 e di quello del 2022. Anche il vicepresidente Fifa, Jack Warner, mail compromettenti alla mano, si scaglia contro Blatter: avrebbe dato un milione di dollari ai delegati del Nord America. Il signore della Fifa si è presentato davanti al "suo" comitato etico e con naturalezza ha chiesto ai cronisti: «Crisis, what is a crisis?». Ne è uscito senza un graffio. Non altrettanto liscio è filato il procedimento a carico di bin Hammam e del vicepresidente Warner, accusati di corruzione e sospesi. Ecco messo in fuorigioco l’unico possibile sfidante. Due pesi e due misure?

È insorto il ministro inglese dello Sport, Hugh Robertson: «È urgente una riforma come ha fatto il Cio dopo lo scandalo di Salt Lake City»; la Federcalcio inglese, seguita da quella scozzese, ha chiesto di rinviare le elezioni; quella australiana, battuta nella corsa al Mondiale 2022, ha chiesto la restituzione di 48,8 milioni di dollari spesi per la candidatura aussie. Blatter minimizza, anche se «la piramide vacilla sulle sue fondamenta». La sua tattica non cambia: addormentare il gioco per colpire in contropiede.

Governa come un signore da basso impero: panem et circenses, dare poco a tutti, negare sempre, negare tutto, continuare a bere il suo caffè amaro ogni mattina, con cinque lingue in testa e farsi la rassegna stampa prima che i possibili sfidanti alzino la mano. Ed è ancora lì. Questa sera, invece del solito caffè, un calice di champagne.