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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

Giovane miss lapidata in Ucraina L’islam vieta i concorsi di bellezza - L’unica fotografia che ab­biamo di lei, prima che le sfigu­r­assero il bel volto a colpi di pie­tre, la mostra di tre quarti, in posa da stellina anni Settanta: dunque con un abito generosa­mente scollato, a braccia sco­perte

Giovane miss lapidata in Ucraina L’islam vieta i concorsi di bellezza - L’unica fotografia che ab­biamo di lei, prima che le sfigu­r­assero il bel volto a colpi di pie­tre, la mostra di tre quarti, in posa da stellina anni Settanta: dunque con un abito generosa­mente scollato, a braccia sco­perte. I capelli neri, lisci, le ac­carezzano le spalle; una colla­nina bianca, come gli orecchi­ni, rischiara un bell’incarnato scuro; le labbra sono rosse, pie­ne; gli occhi sgranati, splen­denti, pieni di gioia di vivere. In un’altra epoca - lei, tartara di Crimea - sarebbe stata forse una ragazza del Serraglio, una danzatrice circassa; dico quan­do a Istanbul regnava ancora Abdul Hamid II,l’ultimo impe­ratore ottomano. Probabilmente è l’ultima foto­grafia di Katya Koren da viva. Anzi ha tutta l’aria,questo scat­to, di essere uno di quelli che Katya, 19 anni, spedì al concor­so di bellezza nazionale al qua­le partecipò, in Ucraina, piaz­zandosi settima, e che poi le co­stò la vita. Perché Katya era musulmana, discendente di quei Tartari deportati in mas­sa nel ’44 da Stalin. Sul suo cammino Katya si è imbattuta in un terzetto di grandissimi mascalzoni - parenti, cono­scenti, compaesani, ancora non si sa, la polizia indaga ­emersi per qualche diabolica macumba dal settimo secolo dopo Cristo che l’hanno lapi­dat­a perché partecipare ai con­corsi di bellezza semplicemen­te non si fa, è contro la Sharia. Gli amici di Katya, che è stata trovata sepolta in un bosco non lontano dal suo villaggio, il corpo orribilmente sfigurato dalla barbara esecuzione, rac­contano quel che in casi analo­ghi abbiamo sentito dire di queste sventurate: ragazze mo­derne, avide di vita, illanguidi­te dalle tentazioni a colori che la Tv spaccia per irrinunciabi­li: bei vestiti, un bel trucco, ma­gari un futuro da groupie, se non proprio da velina, in qual­che «contenitore» pomeridia­no o serale, con uno di quei presentatori sempre allegri. Hina Saleem, ricorderete, ven­ne sgozzata e sepolta nell’orto di casa, vicino Brescia, con la testa rivolta verso la Mecca e il corpo avvolto in un sudario. Hina aveva rifiutato un matri­monio combinato in famiglia dal padre, pagando con la vita la sua ribellione. Nel settem­bre di due anni fa, a Pordeno­ne, morì Sanaa Dafani, accol­tellata a morte dal padre in un bosco per via della sua relazio­ne con un italiano, un «infede­le ». Qualcuno, ogni tanto, ha pro­vato a stilare una statistica, di queste morti, di questi «delitti d’onore» in Europa. Ma non ci sono numeri, cifre attendibili. Molte ragazze musulmane spariscono. Così, punto e ba­sta. In arabo si chiama Jarimat al sharaf . È così che chiamano il «delitto d’onore», spesso de­rubricato in episodi di violen­za domestica. Nella moderna Istanbul, quel­la stessa Istanbul che preme per entrare in Europa, si conta un delitto d’onore a settima­na. A Gaza numerose ragazze vengono uccise ogni anno in nome della sharia (una di es­se, due anni fa, venne sepolta viva dal padre). In Europa, an­che se lo Jarimat al sharaf va per la maggiore, i giornali se ne occupano solo quando la punta dell’iceberg torreggia tanto da non poter essere igno­rato. Il settimanale tedesco Der Spiegel scrisse due anni fa che almeno cinquanta donne musulmane in Germania era­no state vittime di un delitto d’onore.A Londra almeno do­dici ogni anno. A queste vanno aggiunte le «vergini suicide», le ragazze che si tolgono la vita per sfuggire a un matrimonio forzato, di quelli combinati da mamma e papà. Si stima che siano decine le ragazze musul­mane che spariscono ogni me­se in Europa. Il più delle volte partono per un viaggio all’este­ro ( è quel che poi diranno le fa­miglie) e non le si vede più, né a scuola né al lavoro. Downing Street stima per esempio che ogni anno si imbastiscano tre­mila matrimoni combinati. Sottomissione femminile, fa­natismo, oscurantismo, pauro­sa ignoranza. Le «colpe» delle vittime dello Jarimat al sharaf sono molteplici: il rifiuto di in­dossare il velo islamico, l’incli­nazione a vestire all’occidenta­le, a frequentare amici cristia­ni (fino a convertirsi a un’altra fede) la volontà di studiare, vo­lere il divorzio, essere troppo «indipendente» o moderna. Nel mondo musulmano, nel­l’anno di grazia 2011, di tutto questo ancora si muore. E per­ché la punizione sia in linea con la «tradizione», hanno pensato ora gli assassini di Kat­ya, che c’è di meglio della lapi­dazione?