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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

CON LA POLITICA VENDE PIÙ MOBILI MA ORA L’IKEA È IL NEMICO PUBBLICO


Chi ha paura dell’Ikea? Chi può voler male all’azienda che, come ripete il manager protagonista del film Fight Club, ci ha resi tutti schiavi dell’istinto di nidificazione, di quel bisogno irresistibile di trasformare i nostri appartamenti in alveari di divani, scrivanie, letti e lampade dai nomi che ricordano divinità del Walhalla? La multinazionale dell’arredamento che ha dato l’illusione a tutte le tasche di poter avere una casa ecologica e razionale come un bosco scandinavo tagliato a spigoli? Per strano che possa sembrare, qualcuno che l’ha giurata all’Ikea, c’è.
E non è il sottosegretario Giovanardi, che quasi gridò all’attentato costituzionale quando vide i manifesti Ikea con lo slogan “Siamo aperti a tutte le famiglie”, con il sottinteso che anche le coppie gay hanno il diritto di farsi il nido Ikea in casa, proprio come le coppie etero. I veri nemici dell’Ikea si sono manifestati nella serata di due giorni fa, quando tre esplosioni, per fortuna di modesta entità, si sono verificate nei negozi Ikea di Gand in Belgio, di Lille in Francia e fuori dal negozio di Eindhoven in Olanda. A causare lo scoppio sono state due sveglie manomesse, collegate a piccoli quantitativi di polvere da sparo, in Francia e Belgio, mentre in Olanda la deflagrazione è avvenuta da un cestino all’esterno del negozio. Due dipendenti belgi hanno riportato lievi ferite ma, secondo gli inquirenti, gli autori dell’attentato non volevano causare gravi conseguenze, si tratta dunque di un gesto dimostrativo.
Un segnale che anche Ikea, come altre grandi catene multinazionali quali McDonald’s o Coca Cola, per la prima volta, diventa un bersaglio politico dei gruppi antagonisti e no-global, quelli che la guerra all’avidità del capitale la prendono alla lettera. Del resto non poteva accadere diversamente, considerata la crescita straordinaria del marchio Ikea, sia in termini economici, con punti vendita che continuano a aprire a getto continuo (imminente in Italia l’apertura del punto vendita in Abruzzo, a San Giovanni Teatino vicino allo svincolo Pescara-Chieti), con un utile netto che nel 2010 ha toccato i 2,7 miliardi di euro (+6,1% sull’anno precedente) e vendite per oltre 23 miliardi di euro (+7,7%), sia intermini di politica aziendale, aperta a intercettare una clientela sempre più indiscriminata, dove alla tradizionale attenzione per le famiglie con un papà una mamma e se possibile molti bambini da parcheggiare nelle apposite aree di gioco, si aggiungono i recenti messaggi pubblicitari rivolti “a rendere più comoda la vita di ogni persona, di ogni famiglia e di ogni coppia, qualunque essa sia”.
Un vero e proprio programma politico bipartisan, di cui fa parte anche l’Ikea Foundation, impegnata in progetti di sostegno all’ambiente e all’infanzia. Ma forse proprio la spregiudicata miscela di fatturati alle stelle, festine di compleanno per i bambini, ristoranti che servono Köttbullar, le polpettine svedesi surgelate che sembrano biglie, e strizzatine d’occhio alle famiglie gay e all’ambiente, ha indispettitole teste calde che hanno pensato di rispondere con la loro, di miscela, a base di polvere da sparo.
Si sa come la pensano: per loro il lupo del Capitale si traveste da agnello per aggredire meglio, e quale miglior travestimento del colosso svedese che a Natale proponeva l’albero di Natale in affitto, rimborsato dopo l’uso festivo e ripiantato per evitare i disboscamenti? Oppure l’iniziativa di arredare, per una settimana, le stazioni del più popolare e caratteristico metrò del mondo, quello di Parigi, con divani e poltrone Ikea?
Può aver contribuito anche un episodio di gioventù del fondatore di Ikea, il ricchissimo Ingvar Kamprad, quando nel 1994 il suo nome apparve nelle lettere del fascista svedese Per Engdahl, alla cui formazione politica, il Movimento Neosvedese, Kamprad aveva aderito poco meno che ventenne. Seguì una lettera di Kamprad a tutti i dipendenti Ikea, in cui il boss definiva quella sua relazione pericolosa “il più grosso errore della mia vita”. Quanto basta per conferire un profilo ambiguo alla politicizzazione di un marchio che ce le sta mettendo tutta per convincere il cliente che non si riempie la casa solo di mobili, ma di valori ideali, un’ambizione forse eccessiva che qualcuno comincia a contrastare, sconsideratamente, con le esplosioni dell’altra sera.

Giordano Tedoldi