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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

OCCHIO AL NUOVO BOSS ROSSO


La sera di lunedì pochi si sono chiesti il perché del viaggio improvviso di un signore da Bari a Milano. Il signore in questione, un cinquantenne piccoletto, con un look tutto il contrario di quello dei politici tradizionali, non appena ha saputo della vittoria di Giuliano Pisapia si è scaraventato all’aeroporto, è saltato sul primo volo e si è precipitato nella capitale meneghina. Una volta atterrato, è corso a razzo in piazza Duomo. A fare che cosa? Certo, per festeggiare il nuovo sindaco. Ma non soltanto per questo.
Sto parlando di Nichi Vendola, il leader di Sel, Sinistra ecologia e libertà, il partito di Pisapia. Il suo arrivo sotto il Duomo non era un gesto di solidarietà e meno che mai uno sfoggio di vanità. No, Vendola era lì, ripreso da tutte le tivù, per una ferrea dichiarazione di potere. Ottimo conoscitore dei media, con la presenza in piazza ha inviato un messaggio politico chiaro e duro.
Provo a tradurlo così. Attenzione, compagni e avversari: Pisapia è un mio sindaco. E non soltanto perché è un militante di Sel, il partito che ho fondato e dirigo. Abbiamo una lunga storia in comune, che inizia da Rifondazione comunista. Le nostre radici sono identiche. La borghesia milanese che l’ha votato, a cominciare dalle grandi famiglie e dal top della finanza capitalista della città, non s’illuda. Pisapia sarà un sindaco rosso, il primo dei miei compagnia Milano. E da compagno si comporterà.

CHI LIBERERÀ GIULIANO?

Negli stessi istanti, Pisapia diceva agli italiani di aver vinto con il sorriso e con l’ironia. E garantiva a tutti che, dopo il suo ingresso a Palazzo Marino, «Milano ritornerà a sorridere». Per il semplice motivo che è stata liberata dalla cappa asfissiante del berlusconismo. Ben rappresentata da quella sciura miliardaria, la tetra Letizia Moratti.
A questo punto, la domanda che ci sta di fronte è la seguente: Pisapia riuscirà a liberarsi dalla sudditanza nei confronti di Nichi? Per governare come sembra a lui, e come dovrebbe piacere ai borghesi stimabili alla Marco Vitale, alla Piero Bassetti, al ramo interista-sinistroide dei Moratti, per citare soltanto alcuni dei nomi più noti al pubblico milanese? Nessuno, per ora, è in grado di rispondere a questa domanda. Tuttavia, esistono almeno tre dati di fatto capaci di farci temere che l’autonomia del nuovo sindaco di Milano rispetto al proprio tutore rosso non sarà un traguardo facile da raggiungere.
Il primo è un connotato atavico di Rifondazione comunista, la patria politica di Pisapia. Nella sua storia, e sotto le diverse leadership, quel partito ha avuto una sola stella polare: del dovere di governare un paese o una città non gli è mai importato niente. Nel suo Dna l’obiettivo primario è stato il mutamento della società, quello che un tempo era chiamato, con semplicità schietta, la rivoluzione comunista.
L’alfiere più esplicito di questa convinzione è stato Fausto Bertinotti, il maestro politico di Vendola. Il Parolaio rosso non ha mai smesso di chiarire come la pensasse in proposito. Qui mi limiterò a una sola citazione, tratta da un’intervista al Corriere della sera del 9 aprile 1997, scritta da Gian Antonio Stella. In quel momento, il compagno Fausto era il segretario di Rifondazione comunista e si preparava a mettere fuori dal partito il fondatore, Armando Cossutta.
Il Parolaio disse: «Il mito della governabilità è figlio di una cultura politica senza valori, che ha completamente abdicato alla voglia di cambiare la società. L’idea che comunque bisogna governare, per me è un disvalore». Poi Bertinotti spiegò che il suo partito stava nell’Ulivo di Prodi soltanto per un accidente elettorale: «Abbiamo programmi diversi, anche in politica estera abbiamo da sempre posizioni differenti, sulla Nato, su Maastricht e su altro… Noi non cerchiamo la crisi del primo governo con le sinistre. Ma potremmo esserci costretti». Infatti, l’anno successivo, fece cadere il governo Prodi.

DOPPIA FACCIA

C’è poi un secondo dato di fatto che distingue Pisapia da Vendola, a vantaggio del secondo. Il nuovo sindaco di Milano avrà pure la faccia del bambino che sorride, come sostiene Adriano Celentano. Ma il leader della Sel ne ha addirittura due. Una è quella del piacione al cubo, un affabulatore senza soste, un mago dell’armonia, capace di suscitare un consenso molto largo.
L’altra faccia è quella del politico aspro, di sostanza maligna, pronto a disprezzare chi non obbedisce ai suoi ordini, a cominciare da quanti stanno nella sinistra meno radicale. Sottoquesto aspetto, Vendola, nonostante l’orecchino e gli abiti casual, è un perfetto staliniano. E ricorda certi vecchi ras delle Botteghe Oscure, pronti a usare le parole come pallottole.
Ecco una verità che i suoi alleati di oggi dovrebbero tenere bene a mente. Se questo secondo Vendola gli è sconosciuto, facciano un salto all’emeroteca della Camera o alla Biblioteca Sormani di Milano. E rileggano la rubrica “Il dito nell’occhio” che Nichi pubblicava su Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista.
Il mio consiglio è rivolto soprattutto a D’Alema, definito «grevemente atlantico, cinico, con una spocchia da statista neofita». A Fassino, «blaterante scempiaggini cingolate e mortali». A Umberto Ranieri, neo tifoso entusiasta di De Magistris, «un caporalmaggiore della Nato». A Di Pietro, «dalla caratura mussoliniana». E infine a Emma Bonino. Forse almeno lei si rammenterà del pensiero violento e del linguaggio stridulo di Vendola. Una tempesta di volgarità, per «questa vipera con la faccia di colombella, amante delle carneficine umanitarie».
Qualcuno potrebbe osservare: Vendola scriveva questa robaccia nel 1999, quando c’era la guerra della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic. Da allora sono trascorsi dodici anni, Nichi non è più quello di un tempo. Respingo l’obiezione. Vendola non era un ragazzo impulsivo, ma un signore di 41 anni, deputato per la terza volta. La sostanza umana non cambia. Provate a mettere Vendola alle strette e lo vedrete.
E qui siamo arrivati al terzo motivo che impedirà a Pisapia di sottrarsi al gioco duro, imposto dal suo capo partito. Nichi verrà messo alle strette quando le sinistre italiane dovranno darsi un leader nella battaglia per la conquista nel governo. Le avvisaglie di quanto accadrà ci sono tutte. Vendola vuole le primarie di coalizione, nella certezza di poter battere qualunque candidato del Partito democratico.

PRIMARIE E CLAN

Lo stato maggiore del Pd ha il terrore di questo tipo di primarie, perché teme di perderle. La guerra è già iniziata. E conferma quale sia l’obiettivo esistenziale e politico di Nichi. Lui vuole l’egemonia sulla sinistra italiana. E ambisce a diventare il capo di questo arcipelago multiforme, frammentato in sub-partiti e in clan elettorali. Per cimentarsi contro il nemico di sempre: il capitalismo rappresentato dal caimano Berlusconi e da chi lo sostiene.
Detto in soldoni, Vendola progetta una doppia vittoria. Quella politica e quella elettorale. Se le vincerà entrambe, nessuno è in grado di dire come si muoverà. Ma è questo insieme di incertezze che mi induce a un’ipotesi: Nichi si farà vedere sempre più spesso sulla piazza di Milano. Tanto che il sorridente Pisapia avrà alle spalle una suocera esigente, mai soddisfatta e all’occorrenza capace di carognate a non finire. L’ombra di Nichi sarà la sua ossessione quotidiana. Alla faccia di ogni tentativo di governare una realtà complessa come è Milano, «nel nome di tutti».
Come spesso accadde nelle fratellanze politiche, per il sindaco sorridente l’osso da mordere sarà Vendola piuttosto che Silvio Berlusconi. La mia opinione sul leader del Pdl, e attuale capo del governo, i lettori di Libero la conoscono. L’avevo messa nera su bianco domenica 22 maggio, sette giorni prima del ballottaggio. Il titolo diceva: “Il Cavaliere è al capolinea”.
Un imperativo del giornalismo americano recita: nessun articolo deve puzzare di io l’avevo detto. Quindi non voglio aggiungere una parola di più.

Giampaolo Pansa