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 2011  giugno 01 Mercoledì calendario

ENTI LOCALI, BUCO NASCOSTO NELLA FINANZA DEI DERIVATI

È tutto fermo a tre anni fa. La bomba dei derivati degli en­ti locali ha la miccia ancora accesa. E trovare il modo per di­sinnescare l’ordigno non sembra facile. L’allarme è risuonato nuo­vamente settimana scorsa, con la Corte dei Conti che ha quantifi­cato in 10 miliardi di euro il con­trovalore dei contratti derivati ac­cesi in Italia da circa 590 ammi­nistrazioni territoriali. Da Mila­no alla miriade di municipi me­dio- piccoli, fino alla vicenda più recente che ha coinvolto la Re­gione Calabria, la mappa che ac­comuna amministrazioni pub­bliche e mondo del credito in u­na sequenza incredibile di erro­ri, sottovalutazioni e truffe è sem­pre più composita. Scarsa prepa­razione degli amministratori da un lato, desiderio di profitti faci­li da parte degli intermediari dal­­l’altro, sono gli elementi alla ba­se del cortocircuito. Risolvere il problema non è impresa facile.

Stop alla speculazione, anzi no

Dal 2008, con l’approvazione del­la legge 112, è di fatto vietata agli enti locali la sottoscrizione di strumenti derivati, fino all’entra­ta in vigore di un apposito rego­lamento di attuazione da parte del Tesoro. Una scelta quanto mai opportuna, dopo le notizie rela­tive alla finanza creativa messa in atto da molti primi cittadini, con tanto di indagini da parte delle Procure. Il punto è che quel­la pagina non si è ancora chiusa, visto che sta dispiegando conse­guenze perverse sulle strategie di governo del territorio. Nel mi­gliore dei casi, si è aperta una guerra giudiziaria tra i primi cit­tadini e le banche. È notizia di ie­ri che l’istituto Dexia Crediop ha presentato ricorso al Tar della To­scana contro il provvedimento di autotutela avviato dal Comune di Firenze su alcuni contratti in de­rivati. Il Comune di Firenze ave­va infatti avviato un procedi­mento di autotutela il 9 dicem­bre, sospendendo il pagamento dei contratti in derivati sotto­scritti. Successivamente, il 28 marzo, è stata approvata una de­libera con cui è stato deciso l’an­nullamento degli atti ammini­­strativi della giunta Domenici che, nel 2006, aveva portato alla sottoscrizione di sei contratti de­rivati con Dexia, Merrill Lynch e Ubs. Perché la verità è che chi non ha cancellato i contratti de­rivati in essere (come ha fatto nel capoluogo toscano il sindaco Matteo Renzi) rischia di conti­nuare a pagare dazio.

Un’elaborazione recente affer­ma che se i tassi dovessero au­mentare di un punto, le perdite per le finanze locali finirebbero con l’aumentare 14 volte tanto (in termini di interesse) su un contratto derivato della durata di 20 anni.

Secondo le stime del ministero dell’Economia, l’esposizione complessiva degli enti locali am­monta a 33 miliardi di «valore no­zionale », cifra intesa come l’in­sieme delle passività sulle quali sono stati introdotti i contratti derivati. Ma perché si è giunti a una situazione come questa? S­e­È condo quanto si legge nell’inda­gine conoscitiva della Corte dei Conti presentata in Parlamento nel febbraio 2009, utilizzando in vario modo i derivati, «gli enti ter­ritoriali hanno posto in essere o­perazioni che hanno influito sui rischi connessi all’indebitamen­to, sull’effettivo ammontare del­lo stesso e, in ultima analisi, sul reperimento di risorse da impie­gare nella ordinaria gestione». Per ridurre più in fretta i debiti accumulati (e per dare segnali in grado di creare consenso tra i cit­tadini) si finiva cioè in una spira­le gigantesca, che generava solo nuovi impegni (con le banche) e nuovi oneri, spesso impossibili da gestire.

La sfida della trasparenza

Per il segretario generale del­l’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni, Angelo Rughetti, in­tervenuto al convegno organiz­zato dalla Corte dei Conti, siamo di fronte a «un fenomeno circo­scritto », sin qui caratterizzato da «un marginale rischio di patolo­gia ». Ora l’obiettivo è il via libera immediato a un regolamento in grado di sanare quella disparità di condizioni presente tra le ban­che e gli enti locali. Nel concreto, i Comuni chiedono che in futuro vengano rispettate alcune con­dizioni: l’utilizzo della lingua ita­liana nella stipula dei contratti, l’obbligo di modelli standard di contratto ad hoc , l’istituzione di un organismo deputato alla con­ciliazione delle controversie. «Mi sembra che si possa affermare che gli strumenti derivati – ha spiegato Rughetti – non sono mai né buoni né cattivi di per sé e che sia l’uso che ne viene fatto a ren­derli idonei o inidonei alla fun­zione e alla finalità per le quali vengono stipulati». Per l’Abi, l’as­sociazione delle banche italiane, occorre «massima trasparenza anche sulle commissioni banca­rie, ma non bisogna criminaliz­zare lo strumento», anche perché «gli enti locali sono sottoposti a rischi anche quando scelgono strumenti finanziari diversi». Co­me si vede, le parti sono distanti e una riflessione comune affin­ché non si ripetano gli errori è an­cora di là da venire.