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 2011  maggio 31 Martedì calendario

«CON COSIMA E SABRINA DENTRO PREFERISCO MORIRE»

Gli dicono: oggi esci, Miche’, vai a casa. E lui scuote il capo, mogio: «State liberando un colpevole» . Appena fuori dalla prigione, a Taranto, la folla gli batte le mani: sì, applaude l’ex mostro, che mostro però deve sentircisi ancora. Su un fuoristrada dai vetri oscurati (roba da vip della tivvù) lo aspetta Valentina, l’unica della famiglia scampata alla procura e alla galera; dall’altra parte di questa sera di maggio lo attende un’ipotesi precaria di vita. Lo scorso ottobre, quando Michele Misseri s’era appena accollato la morte della nipote Sarah nella prima delle sette confessioni che ha snocciolato, i compaesani gli avevano dedicato sul muro vicino casa uno striscione: pena di morte per lo «zio» animale. Ora gli stanno attorno premurosi, ma non basta.
Chissà quanta confusione dev’esserci nella testa di questo contadino trasformato in star. Miche’ si risente capofamiglia per un attimo, come forse non è mai stato, pensa alla moglie Mimina e alla figlia Sabrina, chiuse proprio dietro le sbarre che lui sta lasciando: «Loro dentro e io fuori, preferisco morire...» , mormora allora. Quella frase, captata da qualcuno, diventa il viatico per una serata assurda, la prima di ritorno nella sua Avetrana. Il sindaco De Marco firma per un Tso, «bisogna valutarne le condizioni psicologiche» . Lo portano via a mezzanotte, sull’ambulanza, di nuovo verso Taranto, stavolta all’ospedale, in psichiatria. La figlia Valentina lo segue, furente: «Me lo vogliono drogare, vogliono farlo passare per uno psicopatico che tenta il suicidio!» . In un clima a metà fra tragedia e pochade, si adombrano perfino complotti politico-giornalistici, perché Miche’ aveva fatto due interviste in casa: ma se è fuori di testa quanto vale ciò che dice?
Va così, nell’altalena senza pause del giallaccio di Avetrana, ieri orco, oggi quasi vittima, domani povero malato. Ovazioni per la liberazione di Miche’, ovazioni giovedì sera per l’arresto di sua moglie Mimina, la gente fa il tifo. Mimina aveva capito tutto, col solito anticipo: «Secondo loro, noi siamo tutti falsi. Tu sei l’unico innocente» , aveva dunque detto sferzante al marito la mattina del 2 maggio, durante un colloquio in carcere profetico e per lei rovinoso (dieci pagine di intercettazioni sono allegate all’atto d’accusa per dimostrarne le pressioni indebite): «Quando sarà, ti fanno uscire, e sei san Michele il contadino di Avetrana, e noi tutti falsi» .
Dicono che abbia passato l’ultima giornata a sorridere e a fregarsi le mani, Miche’: aveva fiutato l’aria. Eppure, dopo cento capriole e ricostruzioni opposte, dopo essersi preso la colpa, averla data alla figlia Sabrina ed essersela accollata di nuovo come un dolce calice di cicuta, alla prigione aveva fatto l’abitudine: ha preso dieci chili, una pacchia rispetto alla vitaccia da schiavo nei campi che faceva. Gli agenti di custodia gli erano ormai quasi amici, e con ciascuno ha continuato a ripetere l’ultima versione, quella delle lettere alla famiglia, l’inverosimile epistolario d’un contadino analfabeta forse aiutato da qualche buon maestro. L’ha detta e ridetta, quest’ennesima ultima verità, a chi ha incrociato nelle ore prima della scarcerazione: «Sono stato io, io ho ammazzato Saretta, mia figlia non c’entra! Mia moglie nemmeno, che schifo come l’hanno trattata...» . E questo è naturalmente uno dei paradossi dell’indagine: l’orco, rivelatosi un padre deciso all’autocalunnia pur di salvare la figlia Sabrina dall’accusa di omicidio, ora vorrebbe a tutti i costi tornare orco, ma non riesce più a farsi credere. I pm e il gip lo mettono fuori, i compaesani quasi lo trattano da eroe. «Sono stato io...» , ripete lui, confuso, tra sorrisi e pacche sulle spalle, «io solo» .
In realtà, se Michele Misseri è fuori, lo deve a un avvocato testardo e silenzioso come Francesco De Cristofaro, che ha acchiappato al balzo l’ultima ordinanza del giudice in cui se ne smorza molto il ruolo nell’omicidio: «Ormai la sua era una detenzione illegale» . Bingo. Il bello è che De Cristofaro potrebbe essere tranquillamente convinto della colpevolezza di Miche’ o, il che è lo stesso, dell’innocenza di Sabrina. Valentina, la testa fina della famiglia, che lavora a Roma e si batte come una leonessa per tirar fuori dai guai la sorella, ne parla al papà in una delle lettere che gli spedisce in carcere a raffica: «L’avvocato De Cristofaro ti farà sempre capire come stanno le cose, dicendoti sempre la verità» . Quale verità? La verità per Valentina coincide con l’innocenza di Sabrina, questo è sicuro. Ma carte e lingue si sono molto imbrogliate da quando, a fine settembre, zio Miche’ entrò nell’immaginario collettivo saltando fuori dai campi col telefonino della piccola Sarah che ancora tutti speravano viva. Tempo una settimana, e aveva portato i carabinieri in contrada Mosca a ritrovare il cadavere «della piccina, ch’era proprio come fosse figlia mia!» .
E allora, gli chiesero, perché mai l’hai uccisa, Miche’? Prima versione: avevo il trattore rotto, m’ero innervosito, lei non se ne andava... Seconda versione: avevo già tentato di metterle le mani addosso giorni prima, lei non ci stava... Seguirono carcere e pentimento, aria di linciaggio, una terza versione con responsabilità condivisa: dovevamo darle una lezione, Sabrina la teneva e io la strangolavo. Infine quella che è piaciuta di più ai fan di questo nuovo cinema dell’orrore: ha fatto tutto Sabrina, io l’ho soltanto coperta, cuore (nero) di papà. Le lettere alla famiglia, in cui la verità viene di nuovo rovesciata e Michele torna alla prima versione (raptus per il trattore rotto), sono l’appendice più recente di questo fogliettone senza più capo né coda.
Infine la sera cala sulla villetta di via Deledda, semideserta per via giudiziaria. Cala sul tinello con la tv accesa, su Valentina che si ferma per qualche giorno col papà a curarlo e ripetergli il mantra di sempre, «Sabrina non ti odia... sai che io ti voglio bene, ma questo vale anche per lei e mamma, noi saremo sempre una famiglia unita. Tu però devi difenderti con la verità, non con le bugie» . Ancora questa dannata verità, chissà quale vogliono che sia, deve pensare Miche’.
«Ogni volta che deve usare il cervello, lasciamo perdere» , disse di lui un giorno proprio Valentina. E adesso tutti a chiedergli la verità. La verità che trova sul marciapiede di via Deledda, rientrando dopo 236 giorni, è fatta di avetranesi che gli strillano persino «bravo zio Miche’» , di folla che gli batte le mani come a Taranto. L’orco è diventato san Michele, la gente ha deciso: ma sarà la verità giusta? Michele in casa piange a capo chino. Troppa pressione per un uomo abituato a parlare più con gli ulivi che coi cristiani. Da una masseria vicina sparano mortaretti, però dev’essere un matrimonio: fate che almeno quelli non siano per lui, se no chi lo dice a Mimina?
Goffredo Buccini