Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 31 Martedì calendario

LA GENTE SI FIDA PIÚ DEI PROVERBI CHE DEGLI ESPERTI DI METEOROLOGIA


Certe credenze si fondano su osservazioni tramandate nei secoli - L’esperienza conferma, ad esempio, che «i giorni della merla», alla fine di gennaio, sono tra i più freddi dell’anno - Il detto «rosso di sera, bel tempo si spera» ha un fondamento scientifico - Molti dubbi invece sulla veridicità della Candelora

Roma, 25 gennaio. Tutti sanno che la previsione del tempo, sempre più necessaria per i mille scopi delle moderne attività umane, è da quasi un secolo compito di appositi servizi meteorologici, i quali, entro i loro limiti, funzionano egregiamente. Ma nessuno ignora, peraltro, che il pubblico, avvezzo a prendere in giro i previsori scientifici per qualche loro eventuale errore dovuto alla estrema complessità dei problemi da risolvere, cerca di sostituirli in qualche modo, ricorrendo a segni, indizi particolari, che dovrebbero rivelare i prossimi o lontani sviluppi del tempo, o anche a detti, proverbi, sentenze che si tramandano da secoli.
Il meteorologo a cui si chieda il valore di questi indizi, di questi detti, in cui ci si sforza di trovar distillata la sapienza del popolo, fa subito una distinzione, perché alcuni di essi hanno un certo valore, altri no.
Vi sono alcuni segni, spesso tradotti in versi più o meno orecchiabili, che risalgono sicuramente a certe classi di lavoratori i quali per la loro attività devono vivere all’aperto, e per cui l’andamento del tempo è di estrema importanza: i marinai, i pescatori, i contadini, i pastori e così via. Ora fra questi segni ve ne sono di origine chiaramente empirica: che discendono cioè da una iniziale osservazione diretta dei fenomeni dell’atmosfera, e che poi sono stati trasmessi di padre in figlio magari per millenni. A essi non si può negare un certo valore, per quanto spesso esclusivamente locale. Anzi, non di rado si riesce, studiandoli, a determinare una loro base scientifica. Così per esempio l’alone, grande cerchio biancastro, che non raramente si vede intorno al Sole o alla Luna (da non confondersi con la corona, più aderente all’astro e colorata ) è stato da millenni considerato come segno di pioggia: lo ritenevano tale perfino gli astronomi assiri e babilonesi! E’ risultato poi che esso si deve a certe nubi alte, i cirrostrati, che sogliono presentarsi nella parte anteriore delle perturbazioni cicloniche: sicché la sua fama non è poi tanto usurpata.
Così pure il notissimo, da millenni, «rosso di sera, bel tempo si spera » e il correlativo «rosso di mattina, la pioggia si avvicina » possono trovare una spiegazione scientifica, come indizi di stabilità o di instabilità, e d’inquinamento dell’atmosfera. Il « cielo a pecorelle, acqua a catinelle », cioè il cielo cosparso di altocumuli o cirrocumuli, denuncia anch’esso un particolare stato d’instabilità degli strati elevati. Il «tramonto in sacca», cioè col sole che scende dietro un compatto e oscuro strato di nuvole, e che porta « o vento o acqua», può essere effettivamente foriero di cattivo tempo, perché le perturbazioni vengono spesso da ponente. Analogo significato può avere il «ponente chiaro e tramontana scura, mettiti in mare e non aver paura» dei pescatori dell’alto Adriatico. E significato possono avere tutti gl’innumerevoli indizi locali dati dalle nubi sui monti che si mettono «il cappello» o la «cintura», denunciando così una forte umidità nell’atmosfera.
Non vogliamo certo dire, s’intende, che tutti questi segni, e i corrispondenti proverbi, siano infallibili: come ogni regola meteorologica che tenga conto di un solo elemento o di pochissimi, essi possono avverarsi o no; ma in definitiva non mancano, come dicevamo, di una certa base.
Altri adagi popolari, spesso riguardanti certe date dell’anno, sono invece evidentemente frutto di credenze superstiziose, di leggende, di residui di teorie astrologiche e forse, in qualche caso, di pure coincidenze occasionali. A questi è ben difficile accordare una qualunque fiducia, a meno che non rispecchino, magari sotto forma fantasiosa, i caratteri di certi periodi dell’anno, che si ritrovano nello svolgimento normale del ciclo meteorologico.
In quest’ultima categoria si possono far rientrare i «giorni della merla», di cui troviamo traccia perfino in Dante (gridando a Dio : «Ormai più non ti temo» - come fe’ il merlo per poca bonaccia): si tratta degl’imminenti ultimi giorni di gennaio. L’origine della locuzione è nota (si parla di merlo che, giunto alla fine di gennaio, credeva ormai passato l’inverno, sì da sfidare la Provvidenza; o, secondo altri, di una giovane chiamata Merla, che vide scomparire il fidanzato inghiottito dai ghiacci del Po gelato, e tanto se ne accorò da morirne, sotto il turbinare della neve): ma il fatto si è che gli ultimi giorni di gennaio e i primi di febbraio sono spesso i più freddi dell’anno.
Altri periodi tradizionali a cui sembra corrispondere qualche cosa di reale sono i «santi di ghiaccio» (prima decade di maggio, con ritorno del freddo) e l’«estate di San Martino», intervallo di tempo relativamente caldo a mezzo novembre. Ma, tolte queste poche eccezioni, gli altri detti popolari, che fanno riferimento a certi santi, a certe feste, o comunque a certe date, si devono considerare come del tutto destituiti di base scientifica. Questo vale per i giorni « indicatori » (primi dodici o ventiquattro di gennaio, il cui andamento dovrebbe ragguagliare su quello dei dodici mesi). Per il giorno di San Paolo, detto appunto « dei segni » (25 gennaio), che dovrebbe avere un ufficio analogo. Per la Candelora (2 febbraio), che segnalerebbe se l’inverno è o no finito. Per la prima domenica di Quaresima, che indicherebbe il tempo che farà nelle domeniche successive. Per la Domenica delle PaIme- che rivelerebbe il tempo di Pasqua. Per i «tre (o quattro) aprilanti, quaranta dì duranti ». Per la Ascensione («se piove per l’Ascensione, piove quaranta dì di ragione»). Per la festa della Santa Croce (3 maggio), per quelle di San Pietro, Sant’Anna, dell’Assunta, ecc. ecc., fino ad arrivare al famoso « se piove per Santa Bibiana, piove quaranta dì e una settimana » (2 dicembre).
L’inattendibilità di questi e altri proverbi è particolarmente evidente per quelli che riguardano feste mobili, che si presentano di anno in anno a date diverse, come la Pasqua o la Ascensione. Ma, anche per gli altri, qualunque tentativo di verifica sia stato effettuato ha dato sempre risultati negativi o almeno niente affatto persuasivi. In particolare per la Candelora la fallacia della credenza popolare è provata dal fatto che ne esistono due versioni diverse: quella romana, che a una Candelora buona fa seguire la fine dell’inverno e a una Candelora cattiva un suo rincrudimento, e quella diffusa in altre parti d’Italia e anche all’estero, che dice esattamente il contrario. Segno che non sono vere né l’una né l’altra.
Stiano dunque tranquilli, i nostri lettori, e non si preoccupino del prossimo 2 febbraio: se sarà buono, si godano il sole, e se sarà cattivo, si preoccupino solo di prender l’ombrello.