La Stampa 31/5/2011, 31 maggio 2011
LETTERE
Non so se piangere o ridere. Opto, sempre più, per la prima ipotesi, trasformandola sempre più in un pianto di «incazzatura». La mattina del 25 maggio scorso, alle 7,45, mi sveglia una serie ininterrotta di «scampanellii», al citofono, per la consegna di un’urgente «raccomandata». Con le «brache ancora in mano» mi precipito giù in portineria e, sia pure con le scuse e con il sorriso di una primaverile ragazza, addetta alla consegna, mi viene porta la missiva.
Equitalia. Naturalmente come «mittente». Con l’intimazione di pagamento di tot euro, entro 60 giorni, con il presupposto secondo cui nel modello unico 2008 ci sarebbero stati degli errori che avrebbero dato luogo a un procedimento di iscrizione a ruolo e, in altre parole, alla rideterminazione del già dato e di quello che si doveva dare. Ben sei fogli di dettaglio, con indicazioni di numeri, numeretti, senza che un comune mortale possa capirci alcunché. Il comune mortale è rappresentato, in questo caso, da mia moglie, casalinga ma non analfabeta. Mi ha riconsegnato il tutto, con invito, a me, tra l’altro avvocato, a spiegarle il come e il perché di tanti fogli e di tante precisazioni e particolarmente come e perché, ci si dovesse rivolgere all’ente impositore e non alla Equitalia. E farlo nei termini perentori di legge.
Ci ritroviamo in un Paese assurdo, tempestato da gabelle e dazi vari, e ancor più da una Equitalia che mi fa pensare, per il sistema e per l’insieme, ad un soggetto «predatore» che sconvolge uomini e territori; soggetto, per giunta, di carattere e natura pubblica, alimentato dai nostri soldi rastrellati tramite l’Inps, anche e soltanto per un mezzo dipendente a nostro carico. Brunetta parla di semplificazione ma nulla si è visto, per la Equitalia. Tremonti, verosimilmente incalzato dalle lamentele dei nordisti-leghisti, «accenna» a qualche «buffetto». Tutto tace. Tutto è silenzio. Tutto è palude.
Ciro Centore, 72 anni, avvocato, Caserta