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 2011  maggio 30 Lunedì calendario

“Salviamo le cabine dall’estinzione” - Le cabine telefoniche che ancora resistono alla concorrenza dei telefoni cellulari saranno presto rimosse

“Salviamo le cabine dall’estinzione” - Le cabine telefoniche che ancora resistono alla concorrenza dei telefoni cellulari saranno presto rimosse. Non le usa più nessuno e il loro destino è segnato. In Italia ancora abbiamo troppi telefoni pubblici, uno ogni 450 abitanti: un primato che ci pone fuori delle medie europee e quindi bisogna ridurre. Dei 130 mila ancora in vita, ma in pratica inutilizzati, ben 30 mila passeranno così per la mazza del rottamatore. La sentenza di soppressione è stata emessa in una delibera dell’Agcom sulla «Gazzetta Ufficiale»: la Telecom Italia potrà rimuovere i telefoni in eccedenza, ammettendo un certo margine di indulgenza per quelli negli ospedali, nelle scuole e nelle caserme. Ma qualcun altro di quegli antichi angolini di conversazione potrà ancora essere strappato alla rottamazione: in questi giorni, su grandi cartelli rossi che sono apparsi su molti telefoni pubblici di Roma, è indicata la data in cui la cabina verrà «giustiziata». Ma, se i nostalgici della telefonia pubblica vorranno salvare la moritura cabina, per ancora 30 giorni potranno inviare la loro richiesta di grazia tramite e-mail all’indirizzo cabinatelefonica@agcom.it, chiedendo che uno specifico telefono resti attivo. È prevedibile che l’umanità si dividerà in due categorie, di fronte alla chance di adottare una cabina e salvarla. I telefonatori compulsivi nemmeno faranno caso all’avviso, dato che loro appartengono già alla generazione di quelli che considerano il telefono come una protesi emotiva. Cosa mai rappresenterebbe per loro una cabina che impone la divisione tra lo spazio di chi telefona e quello di chi passeggia per le strade di una città? Non ha, in effetti, per loro più alcun senso immaginare che per scambiare parole a distanza con altro simile occorra uno «stargate» così ingombrante. A cellularisti, smartphonici e voippari non serve il surrogato laico del confessionale per parlarsi, per loro le parole non hanno più necessità di un baluardo di vetro e alluminio per conservare l’ambito della riservatezza. Sono questi gli umani «partecipativi», che urlano al telefono ovunque si trovino, che passano le tre ore del Roma-Milano in alta velocità con l’auricolare incollato. Cosa mai potranno essere per loro i vecchi telefoni pubblici, se non ridicole e inutili scatole appese al muro, quasi bare piene di parole andate a male? Gli indifferenti saranno spietati non solo verso i vecchi telefoni a cornetta, rinchiusi nei loro piccoli templi abbandonati e senza più devoti, ma anche per quei telefoni arancione, nei sotterranei delle metropolitane, in fila come soldati panciuti, ancora più patetici perché sembrano tartarughe sgusciate, mentre si fingono cabine telefoniche senza cabina. Al contrario gli «aficionados» della campagna «nessuno tocchi la mia cabina» saranno quelli che non si rassegnano al deprezzamento del proprio privato conversare. Uomini e donne che non vorrebbero mai che fosse loro tolto quel pertugio per la comune uscita dal tempo, esseri capaci di residuo rispetto per il «circolo sacro» che protegge ogni telefono pubblico. Luoghi che sapevano essere dispensatori di emozioni come elaboratori di ansie. Porte che si aprivamo solo a chi ci infilava dentro monete o schede, concreto lasciapassare per sottoporsi all’attenzione di chi è lontano. Manderanno mail per preservare dalla distruzione la loro cabina del cuore tutti quelli che la ricorderanno con nostalgia, vuoi per quel piacere di parlarci sotto la pioggia, protetti dalle intemperie e dalla curiosità altrui, e vuoi per averci fatto la fila davanti, con i gettoni in mano, alla ricerca di un amore che si temeva oltre che lontano, ma soprattutto costretto a concreta reperibilità e senza dare la colpa della sua evanescenza a un’improvvisa assenza di campo.