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 2011  maggio 30 Lunedì calendario

George, il ragazzo che ha scalato le vette della Terra - Sono commossa, orgogliosa, ma adesso che il mio ragazzo torni giù in fretta

George, il ragazzo che ha scalato le vette della Terra - Sono commossa, orgogliosa, ma adesso che il mio ragazzo torni giù in fretta. Sano e salvo». Parole di mamma Penny che annuncia al mondo il record di suo figlio, George Atkinson. Giovedì, tre giorni prima di compiere 17 anni, era in cima al mondo, sull’Everest (8848 metri), con guide e sherpa: ha così concluso la rincorsa alle Seven Summits. La Seven Summits sono le sette montagne più alte di tutti i continenti. George inizò la sfida quando di anni ne aveva 11 e posò i piedi sul Kilimangiaro, il punto più alto d’Africa. Atkinson, che nonostante l’omonimia non condivide la goffaggine con l’attore Rowan interprete di mister Bean, ora entra a far parte della lunga schiera di inseguitori di record bizzarri. Primato di gioventù strappato per neanche un mese all’americano Johnny Collinson, che aveva messo la sua settima bandierina l’anno scorso. A proposito di ragazzi-alpinisti prodigio resta in vetta alla classifica per le salite all’Everest il californiano Jordan Romero: ha raggiunto la vetta a 13 anni, il 22 maggio di un anno fa. La comunicazione al mondo di queste imprese avviene sempre con una sottolineatura forse forzata dei giovani protagonisti. Dicono di non cercare primati, ma se stessi, nella più nobile tradizione alpinistica. George Atkinson non fa eccezione. Quando ha calcato la cima della sua sesta fatica, il Vinson (4897 metri) nell’Antartico, ha detto alla Bbc: «Non voglio fare l’Everest solo per prendermi il record». E per che cosa, allora? Il ragazzo non aveva dubbi: «Se ce la farò non sarà che una ciliegina sulla torta». Così è stato. George ha festeggiato il suo diciassettesimo compleanno al campo base dell’Everest, ai piedi della faccia Sud, in territorio nepalese. Di lì è salito, con l’ossigeno. Ora è in viaggio per tornare a casa, a Surbiton, nella periferia sud-ovest di Londra. Le uniche parole che ha detto dopo l’impresa le custodisce mamma Penny: «Era in cima alle 8,15, il tempo era bello». Niente tempeste di neve, freddo accettabile. La sua salita più dura è stata al McKinley (6194 metri), la più alta cima del Nord America, in Alaska. Il suo ricordo: «Esperienza dura psicologicamente, abbiamo passato 18 giorni sul ghiacciaio e il tempo era fra i più estremi». La carriera di George sulle montagne comincia in cordata con il padre, quando aveva soltanto 6 anni. Arrivarono in cima all’Ulster, cioè sullo Slieve Donard, poco ardita collina rocciosa di 850 metri. L’anno dopo sale sulle vette più alte di Gran Bretagna, Scozia, Inghilterra e Galles. Montagna come passione, perché? George: «Provo gioia su ogni monte perché lassù respiro uno stupefacente senso di libertà». Se poi c’è papà la soddisfazione è doppia: «Cerchiamo qualcosa insieme, qualcosa che tutti e due sentiamo. Amo tutto ciò». La sua cavalcata sui punti più alti del pianeta comincia dall’Africa nel 2005, due anni più tardi è sull’Elbrus, nel Caucaso; nel 2008 conquista l’Aconcagua, la montagna più alta delle Ande, e l’indonesiana Carstensz Pyramid. Nel 2010 affronta le due montagne più gelide ai due poli estremi: il McKinley e il Vinson. George non ha mai svelato se punta a nuovi record e se continuerà l’alpinismo. Non si è mai dilungato a spiegare tecniche, sensazioni di arrampicata, ma per ogni impresa ha preparato il suo fisico al meglio. Prima di affrontare l’Himalaya ha alternato le fatiche sui libri di scuola a quelle della corsa. Per acquisire resistenza, essenziale per poter reggere lo sforzo della salita degli Ottomila, si è messo a correre su terreno accidentato due giorni la settimana. E haaggiunto l’allenamento in palestra per tre giorni su sette. Programma non esagerato, con esercizi ai pesi piuttosto leggeri. Al suo seguito un team di preparatori e guide. E sull’Everest l’aiuto dell’ossigeno, del cielo sereno e senza vento che gli ha dato il tempo di acclimatarsi e concludere l’impresa.