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 2011  maggio 29 Domenica calendario

LA PAROLA POLITICA SPECCHIO DEL NULLA

Parlare non è emettere parole. Se si pensa quel che si dice, c’è da ammutolire. Il politico, avendo perso quasi dappertutto il rapporto tradizionale con l’azione, emette parole, ed è questo il principio e la fine del suo agire. Il mondo viene modellato e organizzato a partire da enormi enfiature di parole che surrogano l’azione che non compiamo più - e che il capo politico ha compiuto talvolta prima di esercitare un potere fatto esclusivamente di parole il cui fondamento è meramente grammaticale. Mussolini, dopo la Marcia - in verità, non avendola materialmente fatta, fin da prima, dal 1919, diventato lui stesso gigantesco silos di parole, organizza il mondo emettendo dei battaglieri, cadenzati e a loro modo efficaci reggimenti di fonemi.

Il caso Berlusconi è straordinariamente emblematico. Dietro di sé non ha mai avuto un agire: fin da subito organizza il mondo aziendale attorno a sé adoperando esclusivamente lo strumento parola, di cui non conserva neppure la superficie semantica - gli basta la pura struttura sintattica-grammaticale. Attraverso la macchina dell’industria di trasformazione televisiva, dal mondo aziendale passa, con estrema facilità, ad organizzare il mondo di una nazione come l’Italia, già resa frolla da migliaia di trasmissioni, e in brevissimo tempo, con una campagna elettorale compiuta a passo di corsa, l’Italia violentata magicamente e resa madre di nulla, madre delle stesse parole che in giudizi e pensieri saranno state emesse dai teleschermi. Si spiega l’indifferenza berlusconiana per i significati, il contenuto magmatico delle sue parole di difesa, d’attacco e di smentita del tutto privo di sostanza e di valore morale. Semanticamente, le sue parole non vogliono significare nulla, come non vogliono significare nulla quelle di chi rimprovera a lui il nulla del suo significare. Tutti possono dire qualsiasi cosa: la forza delle parole sta tutta, terribilmente, nel loro scorrere e affluire alle menti, anche le più intelligenti (nota bene!), e persuaderle di qualche verità inesistente, in quanto mondi di parole, architetture di franamenti silenziosi.

Nella realtà inesistente delle parole che non hanno peso né significato, sebbene possano seriamente essere captate, discusse, proposte come se ne avessero, Berlusconi non è affatto un’anomalia. Giudicare che lo sia è un’obiezione simmetrica di un contrasto che patisce della stessa privazione di significato. In questo senso, Berlusconi non ha (né potrà mai avere) vera opposizione. Vivrà politicamente ben al di là del suo stesso tramonto.

Un parallelismo estremamente indicativo ce lo dà oggi lo stesso presidente degli Stati Uniti. Se misuriamo il discorso di Gettysburg di Abraham Lincoln a un qualsiasi intervento oratorio di Obama, intravediamo l’abisso tra la parola che significa e crea mondo reale, e quella che propaga messaggi che colpiscono, attraggono voti, capitali, ovazioni, commenti mondiali, analisi critiche, senza mordere realtà gravida di strati, senza organizzare il mondo come a Gettysburg, rivoltarlo de profundis , o anche, semplicemente, mantenere una promessa elettorale. Obama è il primo presidente degli Stati Uniti in cui l’azione appare completamente svincolata dal Dire ed è tutta eterodiretta rispetto a colui che parla. Un esempio recentissimo: Obama riprende l’utopia adulatrice e triviale dei Due Stati (il Gòlem-Palestina e l’eternamente in guerra Israele) e sorprendentemente rilancia la stessa retorica dell’ultimo Arafat: il ritorno dei confini israeliani al 1967. L’avesse detto Berlusconi si sarebbe detto: va beh, è Berlusconi... Ma Berlusconi sarebbe stato meno imprudente! Non c’è parola in grado di risolvere un nodo così stregato: né patto tra le parti, né interventi di altri a cui non preme che dire senza significare: perciò abbiamo ben più da temere che da sperare. La proposta ventosa di Obama, se fosse obbedita, porterebbe drittamente al suicidio di Israele e al reimbarco sull’ Exodus dei superstiti. Perché farla, buon uomo?

Una lingua senza più ormeggi, senza misura né controllo etico serrato sfocia, nell’agorà politica, giudiziaria, scolastica, in un bacino d’incontinenza verbale, in fradice sequele di dichiarazioni insensate, di propositi assurdi, di smentite e rinnegamenti a ruota di qualsiasi cosa sia detta o pronunciata pubblicamente.

L’insignificanza non è innocua; quella di cui soffre il dire non è episodica; sono colpi di scure ripetuti ai piedi dell’albero Ragione. Quando non prevale che il luogo comune e il sermone corre su binari che sembrano rassicuranti perché privi di novità, allora si affaccia il Pensiero Unico e ci manetta tutti, dai capi dello Stato e del Governo al cancelliere di Tribunale, dal padrone onnipotente della televisione al rincoglionito d’ospizio, dal sindaco al barbone, dal cardinale al famelico sbarcato.

Nei reni del Pensiero Unico si annida una violenza totalitaria metastasica, impaziente di qualsiasi ostacolo (legale, tradizionale, nazionale, ecologico), adattabile ad ogni tipo di regime, che bene o male spacciandosi per neoliberalismo economico trova il suo micidiale strumento pervasivo nel linguaggio politico e di relazione che, ripeto, non ha fondamento reale e non significa che se stesso - figlio di Beliàl, dice la parola scritturale, cioè del Nulla come entità maligna.

L’unica buona regola è diffidare sempre, non credere a nessuno, rigettare ogni predica, il consenso autorevole, l’assoluzione dissolvente...