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 2011  maggio 29 Domenica calendario

Il pm a caccia del “Compagno G” “Mani pulite non è servita a nulla” - La donna che per una breve ma scoppiettante stagione contese al quarto piano della procura milanese lo scettro di «rossa» a Ilda Boccassini è oggi una placida signora pacificata non solo con la propria chioma, di un tiziano sempre più scuro, ma soprattutto con il proprio passato

Il pm a caccia del “Compagno G” “Mani pulite non è servita a nulla” - La donna che per una breve ma scoppiettante stagione contese al quarto piano della procura milanese lo scettro di «rossa» a Ilda Boccassini è oggi una placida signora pacificata non solo con la propria chioma, di un tiziano sempre più scuro, ma soprattutto con il proprio passato. «Ho solo il rimpianto di non essere sempre stata capita. O forse di non essermi fatta capire bene». Tiziana Parenti, classe 1951, dichiara di non avere nostalgie per l’ultimo scorcio del secolo scorso che la vide protagonista in varie occasioni: prima magistrato nel pool di Mani Pulite a caccia di tangenti rosse, poi deputato della prima e della seconda ora per Forza Italia, quindi tra le fila dello Sdi di Boselli, infine scomparsa dalla scena con l’arrivo del 2000 per approdare in un tranquillo studio da avvocato in Roma, fra Trastevere e Porta Portese, «dove seguo cause per nulla eclatanti, prendendomi la libertà di scegliere chi difendere. Mi sento un po’ una sopravvissuta ad eventi che non ho mai cercato». Ora, per chi ha avuto la ventura di seguire tutte le infuocate stagioni della pirotecnica procura milanese, «Titti la Rossa» apparteneva a quell’immaginario di donne minute ma d’acciaio, toscanamente indomite, amleticamente enigmatiche. Magari anche un po’ confuse. Sicuramente rompiscatole. «Non fu facile mettersi contro certe persone. Mani Pulite fu un turbine. Si parla tanto d’indipendenza della magistratura ma poi è solo nei momenti critici che si può valutare». E quando Tiziana Parenti parla di «certe persone» intende ex colleghi ed ex indagati. Come il vertice dell’allora Pds, ad esempio, che mise sulla graticola arrestando il «compagno G», Primo Greganti che, secondo diverse accuse, svolse il ruolo di collettore delle tangenti ai comunisti. Tiziana Parenti entrò molto in fretta in rotta di collisione anche con i vertici della Procura dell’epoca, in particolare con il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio che lei accusò più o meno apertamente di voler coprire l’inchiesta sui soldi al Pds, prendendosi in cambio l’accusa di pasticciona, incompetente e di eccessiva animosità contro il Pds. Proprio lei, che in gioventù era stata iscritta al Pci di Pisa per tre anni. Si ritrovarono tempo dopo nella Capitale, lei ex tutto, lui ormai senatore dei Ds: «Gli chiesi: “ma come, non ci stringiamo neanche la mano?”» Insomma, all’apparenza, era stata una guerra fratricida. Il risultato fu che sul giro di soldi finiti sul conto «Gabbietta», gestito in Svizzera da Greganti, si approdò a una verità molto, molto parziale: un miliardo e passa trovato nella disponibilità del silenzioso «Compagno G» che lui attribuì alle necessità del pagamenti di un mutuo per un appartamento a Roma che, guarda caso, era stato acquistato dall’Edilnord di Berlusconi. L’avvocato Parenti torna ad essere «Titti la rossa» e ridacchia: «Le tangenti rosse furono un’occasione mancata di poter riflettere su un passato che non passa e poter essere poi, in fondo, più credibili». E si capisce che si tratta della considerazione non di un’ex militante delusa di Forza Italia ma di una ex «compagna» che si sente, in qualche modo, come molti, rientrata in un ovile di cui in realtà nessuno trova più la porta. «Oggi tutto è peggio: la sinistra non è credibile, non tanto per le tangenti, quanto perché non ha saputo entrare nel nuovo secolo con una nuova identità e una posizione critica con il passato. Però oggi a Milano voterei senza dubbio per Pisapia. Non solo perché l’ho conosciuto da parlamentare come persona per bene e quando gli sento dare dell’estremista mi fa solo ridere. Ma perché Pisapia è un uomo fuori dalla nomenclatura e segna la fine di un’epoca, quella di Berlusconi». Rimpianti? «Nell’ambito delle inchieste è come se si fosse lavorato invano...». Quasi in sintonia con l’ex capo di Mani Pulite, il procuratore Francesco Saverio Borrelli che proprio l’altro ieri, a Milano, ha dichiarato pubblicamente di voler fare le proprie scuse: «Oggi chiederei scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Condivide? «Sì, sostanzialmente Mani Pulite non è servita a nulla. Intendiamoci: era giusto farlo, il grado di corruzione all’epoca era notevole e non si poteva non fermare un sistema del genere. Noi avremmo dovuto scavare più a fondo e invece è stata una guerra di corsa, fatta col fiato sospeso, come se si dovesse concludere in fretta per passare ad altro: un altro sistema politico, un altro mondo imprenditoriale, insomma “un altro” non si sapeva bene cosa. E infatti ecco il risultato: oggi la corruzione è tornata molto più ampia e strutturata di prima, a tutti i livelli. E ciò che è peggio è che non se ne avverte il disvalore e i problemi economici che comporta». E il fustigatore Antonio Di Pietro? «Di Pietro è stata la persona che più di altri ha impedito di capire. La politica non è solo censura verso questo o quest’altro, ma fantasia, coraggio, capacità di costruire con gli altri». Nella sua vita c’è anche un altro lato B. quello di Berlusconi. «Io me ne andai da Forza Italia nel 1997, era già un partito finito». Non si direbbe, visto quanto è durata l’avventura di Berlusconi. «Ma F.I. finì allora, perché era un’idea che si doveva concretizzare e non si concretizzò». Ma come fu che dal Pci e poi dalla procura di Milano, passò a Forza Italia di Berlusconi? «A me era sembrata un’idea nuova, senza retaggi alle spalle, un’esperienza tutta da creare, un partito liberale che progrediva in senso più aperto». Invece? «Mi accorsi che il partito non era che uno strumento nelle mani di un proprietario. Dunque uno strumento “disutile” che alla lunga ha bloccato il Paese. Ne parlai c o n il “proprietario” e poi decisi di andarmene. Berlusconi non ha una visione dello Stato ma solo egocentrica, e questo confligge con una qualsiasi possibilità di riforma dello Stato». Tornerebbe a fare il pm? «No. Fu una scelta sofferta ma non tornerei indietro». E il deputato? «Nemmeno. Vorrei fare altro, qualcosa di completamente diverso. Intanto ve bene così».