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 2011  maggio 29 Domenica calendario

L’ITALIANITÀ DISTORTA

Per difendere l’italianità delle banche era pronto a tutto. Anche a violare la legge, hanno ritenuto i giudici. La condanna di inattesa gravità decisa a carico di Fazio è significativa per un insieme di ragioni.
Ragioni che investono il costume nazionale oltre che la finanza. Oggi, in più, abbiamo il senno di poi della crisi finanziaria, che ha mostrato quanto poco il risparmio fosse tutelato.

Chi continua a difendere Fazio sostiene che il mondo bancario italiano era appunto più sano, relativamente al riparo dagli eccessi di Wall Street e della City di Londra; e che per questo motivo valeva la pena di proteggerlo. Tutt’altro: proprio i pasticci di bilancio di Gianpiero Fiorani, sui quali Fazio voleva che la Vigilanza della Banca d’Italia chiudesse gli occhi, riproducevano nel piccolo di Lodi certi azzardi dei più spericolati banchieri anglofoni. Se Fiorani fosse riuscito ad acquistare l’Antonveneta con i suoi soldi inventati, chissà: forse anche in Italia avremmo subito, nella crisi del 2007-2008, un grave disastro bancario. O meglio, «nell’interesse nazionale» i contribuenti sarebbero stati chiamati in soccorso.

Nel frattempo, una grossa banca di cui Fazio difendeva l’italianità, la Banca Nazionale del Lavoro, è stata integrata nel grande gruppo francese Bnp. C’è qualcuno in grado di affermare che il credito al sistema produttivo italiano ne ha sofferto?

Troppo spesso, anche oggi, si fa appello all’«italianità» in casi in cui un ragionato interesse nazionale c’entra assai poco; mentre gli interessi davvero in gioco sono quelli di gruppi di potere, in genere misti di economia e politica. Fazio, occorre riconoscerlo, in anni precedenti allo scandalo dei «furbetti» aveva difeso le banche dalle ingerenze dei politici; ma la sua tutela degli equilibri di potere esistenti aveva anche coperto casi di operazioni discutibili a danno dei risparmiatori, e si era infine trasformata in forzatura a favore dei propri disegni, anzi della Banca d’Italia e delle proprie amicizie.

E’ poi un fatto assai tipico che Fazio fosse convinto, forse con sincerità, di agire per il meglio. Spesso accade in Italia che la legge civile e le regole (nel caso, le normative sul mercato finanziario e di vigilanza sulle aziende di credito) vengano reputate secondarie rispetto alla prassi, o a una difficilmente afferrabile «sostanza dei problemi». L’ex governatore, uomo di una Italia premoderna, in qualche modo sapeva adoperare a questo scopo anche la sua genuina e profonda fede cattolica.

A una maggiore tutela del risparmio era appunto intitolata la legge del 2005 - frutto di una rara cooperazione tra i due schieramenti politici, meno gli amici di Fazio presenti in entrambi - che portò a ridimensionare il potere monocratico del governatore. In anni precedenti, l’anomalia era stata giustificata con la necessità di proteggere la Banca d’Italia dallo strapotere della politica. Ma a Fazio non aveva impedito maldestre manovre di ambizione politica (nella chiacchiera romana il suo nome parve essere offerto per una candidatura a entrambi gli schieramenti, oppure come coagulo di una rifondazione democristiana). Mentre le nuove norme sulla collegialità e sul mandato di 6 anni anziché a vita non hanno impedito a Mario Draghi di essere, dalla politica, sanamente autonomo.