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 2011  maggio 29 Domenica calendario

LA GENERAZIONE ERASMUS DISOCCUPATA E INDEBITATA

Che cosa vogliono esattamente gli indignados? Non hanno parole chiare per dirlo, perché non è compito delle piazze addentrarsi nelle questioni di politica economica. Ma due punti sono chiarissimi a tutti quelli che sono scesi nelle strade a protestare, soprattutto in Spagna e Grecia: debito pubblico e lavoro. Il popolo degli indignati percepisce il rapporto tra questi due temi molto più di tanti economisti.
Già adesso c’è poco lavoro in tutta Europa, ridurre il debito pubblico come è necessario fare frenerà l’economia e la disoccupazione aumenterà ancora. L’unica alternativa, per ora soltanto nel caso della Grecia, è il default: spiegare ai debitori che non si è in grado di ripagare un debito pubblico pari al 150 per cento del Pil, oppure che si pagherà con grande ritardo (il cosiddetto riscadenziamento, o reprofiling). Un evento che metterebbe a rischio la tenuta della moneta unica europea e della stessa Unione. Una catastrofe che è stata rimandata per un anno ma ormai sembra questione di settimane.
Gli indignados d’Europa vivono sulla loro pelle i freddi numeri delle statistiche: secondo l’Ocse, tra il 2008 e il 2010, i NEET (cioè i ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non lavorano) sono passati dal 10,8 per cento. C’è una massa di 10 milioni di giovani nei Paesi più ricchi del mondo che è inattiva e altri 6,7 milioni che stanno cercando un lavoro ma non lo trovano. La Spagna è il Paese dove c’è la parte maggiore di “giovani a rischio” tra i 15 e i 29 anni: quasi il 40 per cento, alcuni non hanno titoli di studio adeguati per competere, gli altri arrancano ai margini del mercato del lavoro senza riuscire a trovare lavori stabili.
La lista delle politiche per affrontare questi problemi è la solita, gli indignados di Puerta del Sol la snocciolano a qualunque giornalista si fermi ad ascoltarli: sostegni per gli affitti, più diritti anche ai lavoratori flessibili, sgravi fiscali a chi assume giovani, magari un salario minimo garantito o almeno sistemi di imposta negativa (cioè si ricevono in denaro le detrazioni fiscali a cui si ha diritto ma che non si riescono a sfruttare perché si guadagna troppo poco). Peccato che ci sia anche la crisi di finanza pubblica.
I ragazzi di piazza Sintagma, ad Atene, sanno che in un Paese costretto a recepire le ricette imposte dal Fondo monetario internazionale non si può più sognare un posto nel pachidermico e corrotto settore pubblico, ma neppure si può fare troppo affidamento sulle imprese, perché quelle che saranno privatizzate dovranno tagliare i costi e le altre soffriranno la recessione. Cosa sperare, dunque? Lo stesso si chiedono gli italiani, che ancora non sono ben consapevoli di dover ridurre di oltre 40 miliardi l’anno il debito pubblico, come richiede l’Europa. Secondo dati diffusi dalla Cgil ieri, 7 milioni di italiani tra i 18 e i 34 anni vivono ancora con i genitori, la disoccupazione giovanile è stabile intorno al 30 per cento da mesi e mesi. Dice l’Istat che i ragazzi con un’occupazione, cioè quelli attivi nel mercato del lavoro, sono il 34 per cento, mentre la media Ue è del 47,8. Quando inizierà il risanamento vero dei conti, entro il 2011, le cose rischiano di peggiorare proprio come è successo in Spagna. Appena il governo di José Luis Zapatero ha iniziato ad applicare le misure di austerità, il tasso di disoccupazione è arrivato al 21 per cento. Tra i giovani alla cifra insostenibile del 45 per cento.
Che si entri in una spirale di recessione strutturale e conseguente riduzione dei salari fino a rendere di nuovo competitiva l’economia , oppure che si arrivi alla bancarotta della Grecia e magari del Portogallo (che sta già ricevendo 80 miliardi di aiuti), oppure ancora che si provi a uscirne lasciando correre l’inflazione che rende i debiti meno onerosi, gli indignados sanno che saranno loro a pagare il conto più alto. E che se finora sono stati almeno la “generazione Erasmus”, rischiano di perdere anche questo privilegio, visto che l’Europa come la conosciamo potrebbe sfaldarsi.
Invece di deprimersi o cercare un palliativo nel disimpegno, gli indignados scelgono lo scontro frontale con quello che negli anni Settanta si chiama “il sistema”. E che in questa crisi è rappresentato dalla combinazione Stati-banche-rendite. Gli Stati hanno speso miliardi per evitare non solo che le banche fallissero, ma pure che andassero in difficoltà e che i manager dovessero ridurre gli stipendi, così come non sono state toccate le rendite (in Italia, per esempio, si introduce la cedolare secca sugli affitti che è un regalo ai proprietari di immobili) e il peso della disoccupazione è stato scaricato in maniera sproporzionata sui giovani. Che sono troppo marginali e troppo pochi per contare nelle urne. Ma non per indignarsi.