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 2011  maggio 29 Domenica calendario

QUEI NUOVI TITOLI NATI DALLA MATEMATICA

Sullo schermo dei pc scorrono le quotazioni. I trader, frenetici, inviano gli ordini. Nella sala trading di Banca Imi a Milano, a due passi dalla Scala, la giornata vola via, nervosa. In uno dei tanti desk operativi, però, l’attenzione non è solo su titoli e opzioni. Un operatore mormora tra sé e sé: «Cointegrazione interessante». A fianco, altri colleghi discutono: «L’algoritmo?», «Ok!». «Sì, ma il noise?».

Un linguaggio per iniziati. Comprensibile solo a chi sa di "alta" matematica finanziaria. Tanto che all’ignaro visitatore resta un unico pensiero: altro che fondamentali e multipli analizzati in un’ottica da cassettisti. La finanza, sempre più, sarà gestita da sofisticatissimi modelli matematici: la vera frontiera dell’investimento. «È il nostro team dell’hedge statistico - dice Giorgio Pozzobon, responsabile dell’equity desk di Banca Imi -. Un progetto ambizioso sui cui puntiamo e il cui obbiettivo, in via definitiva, è di cercare nuovi titoli, sintetici».

Che detto così, al profano, può apparire la ricerca della pietra filosofale, dove l’intervento umano è relegato sullo sfondo. «In realtà - sottolinea Stefano Pennisi, il matematico "papà" del sistema - è il risultato di un’idea ben precisa». Vale a dire? «Trovare dei titoli co-integrati», il cui andamento, cioè, sia collegato in maniera precisa.

Fantascienza? Ormai, la realtà della finanza. «Passando ai raggi x migliaia di serie storiche di molte variabili dei titoli - spiega Pennisi -, è possibile individuare le diverse azioni con questa caratteristica».

Per semplificare il tutto, può pensarsi a due semplici titoli che, «grazie alla statistica, sappiamo si muoveranno all’insù e all’ingiù attorno a un valore centrale. Quando sale uno, l’altro scende e viceversa». In una Borsa perfettamente efficiente i due titoli co-integrati avrebbero movimenti simmetrici, all’interno di una determinata banda di oscillazione: la loro somma cioè sarebbe uguale a zero.

«Nella realtà invece il mercato, magari sulla scia di un newsflow inaspettato, spinge le azioni fuori dalla forchetta considerata. Così, quando il titolo supera il livello superiore scatta l’ordine di vendita»: il modello, infatti, è in grado di prevedere la successiva ricaduta; se, al contrario, scivola al di sotto della banda inferiore, «andremo in acquisto, perché ci attendiamo un suo rimbalzo».

Un simile meccanismo viene applicato a panieri costituiti normalmente da 10 azioni che, attraverso ulteriori calcoli matematici, diventano essi stessi un "nuovo titolo". E su di quello vengono realizzati gli ordini di compravendita in automatico. «In genere - dice Pennisi - operiamo una volta al minuto: in una giornata verrà effettuato un migliaio di trading».

Già, il trading. Mentre Pennisi, il "guru", controlla alcuni dati sul portatile, la sua collega Barbara Annebaldi si "prende" la parola per sottolineare che non è solo «software e algoritimi». L’intervento dell’uomo è ancora rilevante. «In linea generale - dice - diamo sempre un’occhiata agli schermi per essere sicuri non ci siano anomalie. Soprattutto, nei periodi di maggior trading». Vale a dire? «Dalle 9 alle 10 l’operatività è intensa. Poi c’è un po’ una pausa: si riparte alle 14, quando arrivano i dati macro dagli Usa, fino all’apertura di Wall Street. Infine, dalle 17 alle 17.30 ci concentriamo sulla chiusura dell’Europa. A quel punto inviamo gli ordini ai colleghi a New York che seguono la seduta di Wall Street».

Un risultato di équipe, insomma, che ovviamente inizia ben prima dell’operatività. «La fase di studio del modello - sottolinea Pennisi - dura, di solito, da 1 a 2 mesi. Poi, il sistema deve passare gli stress test del risk management della banca; infine, viene fatto "girare" per una settimana su un mercato virtuale, ma con prezzi veri. Solo dopo aver compiuto quest’iter è pronto per l’operatività reale».

L’attività di trading dovrà comunque generare, alla fine, del fatturato. «Sull’intero 2011 - afferma Pozzobon - stimiamo ricavi per circa 5 milioni di euro». Soldi veri generati da modelli che, ormai, guardano ai titoli non più come rappresentativi di un’azienda reale, bensì come variabili di un’equazione. «It’s the algorithm, baby».