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 2011  maggio 29 Domenica calendario

ALLA RICERCA DELLA NUOVA GOOGLE

Tutti a caccia della prossima Google. Su una cosa concordano analisti, gestori con scommesse «short» o «long» sui titoli, detrattori e fan: la corsa a Wall Street dei social network, la nuova frontiera di Internet, è spinta da un mercato orfano da troppo tempo di exploit rivoluzionari. Alla Google, appunto. Crisi e recessione hanno semmai reso più affamanti i re del venture capital, che non vedono l’ora di far fruttare le loro intuizioni nel finanziarie start up, come gli investitori, che invocano titoli promettenti.

Una miscela, insomma, instabile e foriera di bolle speculative. E l’andamento di Linkedin in Borsa nella prima intera settimana di contrattazioni l’ha confermata: il titolo, aiutato dalle scarse azioni collocate, è rimasto su quotazioni elevate. Dopo l’impennata del 109% al debutto e la quotidiana volatilità venerdì ha chiuso a 88,3 dollari, in calo del 6% dalla chiusura della prima giornata ma il rialzo del 96% dal collocamento.

A ben guardare esistono oggi migliori antidoti agli spettri di gravi bolle, che saranno messi alla prova dai prossimi Ipo di firme Internet più note di Linkedin, da Zynga a Groupon, da Twitter a Facebook. Il dibattito sulla valutazione delle nuove società, sostengono gli operatori, ferve ed è più aperto, mentre le aziende che aspirano a immediata fortuna sono meno e con più storia rispetto al cliclo di boom-and-bust tecnologico del Duemila. Quando il crollo di Internet travolse il mercato e la fusione Aol-Time Warner, con Aol che aveva divorato Time Warner, portò lo storico marchio sull’orlo del collasso.

«Credo sia troppo generico parlare di bolla» dice Rick Summer di Morningstar, che pure ha un fair value sulle azioni Linkedin di 27 dollari e consiglia di venderle sopra i 45. «Siamo in presenza di valutazioni generose, ma c’è qualità nelle imprese che va analizzata». Summer non si stupirebbe di vedere il titolo Linkedin scivolare - se non prima magari fra sei mesi, quando scadrà il lock up dei titoli in mano ai soci della prima ora. La considera però un’azienda solida, non a rischio di sparire. I social network, aggiunge, non sono omogenei e richiedono giudizi mirati che verranno alla luce. E risponde con una battuta a chi gli chiede di quantificare il rischio: «Potrebbe finire, in qualche caso, con perdite del 50% ma almeno non del 100%».

Di sicuro, però, gli 8,3 miliardi di capitalizzazione di mercato del social network per professionisti - poco più di Hertz, poco meno di Tiffany - hanno per il momento moltiplicato la distanza dai titoli della Old economy e dagli stessi bastioni dell’hi-tech. Linkedin viaggia oltre 30 volte il giro d’affari e 550 volte gli utili 2010; nonché 20 volte il fatturato di 400 milioni atteso nel 2011. Per azzardare paralleli: un gruppo come Prada, che marcia verso la quotazione a Hong Kong dove i multipli sono tra i più generosi al mondo, è valutato oltre 11 miliardi, meno di quattro volte il fatturato e circa 32 volte gli utili. Glencore, re delle materie prime, è reduce da uno sbarco a Londra con una valutazione di 59 miliardi, pari a un rapporto di 0,4 con il fatturato e di 15 con gli utili. E se si cercano davvero le iperboli: Exxon Mobil, ai multipli di Linkedin, varrebbe ventimila miliardi, più del prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Ancora: la media nel rapporto prezzo/utili (dell’ultimo anno) nello Standard & Poor’s 500 è vicina a 15 e nel Nasdaq, forte di gruppi tecnologici, sale solo a 23. La stessa celebrata Google viaggia a 20, Cisco a 13, Intel a 10 e Microsoft a meno di 10.

C’è chi sfida eccessive paure di sopravvalutazione. «Proprio Google fu quotata a multipli elevati e vinse» afferma Nirmal Shah di PricewatehouseCoopers, co-autore di un recente studio sulle valutazioni hi-tech. Partita a 85, raggiunse i 750 dollari nel 2007 prima di frenare (oggi è comunque a 520 dollari). Certo Google, con i suoi algoritmi, è sinonimo di motore di ricerca. Ma Shah e i suoi colleghi sono convinti che per esaminare i nuovi social network serva una misura diversa da utili e fatturato: il valore per utente. «Il rapporto prezzo-utili usato per protagonisti consolidati è poco significativo per queste aziende, spesso non ancora orientate ai profitti» scrive Pwc. Nella loro scala di «value per user» Linkedin è su soglie inferiori a Facebook; entrambe sono al di sotto di gruppi di media e telecomunicazioni quali Virgin Media o BSkyB.

Trovano eco, tuttavia, anche gli inviti a stare in guardia nell’innovare le valutazioni. «La sfida, difficile, è capire le prospettive di queste società fra dieci anni – ammonisce Summer –. La capacità di tradurre gli utenti in entrata. Il loro mercato, la redditività, il vantaggio competitivo, le tecnologie e gli investimenti per il futuro». Le distanze sono più grandi di quel che sembra tra i singoli social media: «Linkedin opera in un segmento diverso da Zynga, con i suoi giochi online». Per Linkedin può scattare un tetto alla crescita del mercato dei professionisti (ha quasi cento milioni di utenti, oltre metà negli Stati Uniti dove la popolazione adulta è 180 milioni). Per Zynga, che stimata a 11,7 volte il fatturato sembra meno «gonfia», il dubbio è il vantaggio competitivo in un segmento ampio ma con forte concorrenza. Summer sceglie così un prudente agnosticismo davanti a colossi quali Facebook o Twitter: «Aspetto tutti i loro numeri». Facebook a 80 miliardi varrebbe 40 volte il fatturato; Twitter, re di valutazioni ipertrofiche, oltre 200. Prudenza e agnosticismo sono forse la miglior medicina per sindromi da bolla.