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 2011  maggio 30 Lunedì calendario

OBAMA PREME PER APRIRE LO SCRIGNO DEI TESORI OFFSHORE

Pressato dai Repubblicani e dall’opinione pubblica, che chiedono un calo dei prezzi del carburante, il presidente Barack Obama, con un occhio al suo indice di popolarità e l’altro all’andamento dell’economia, cruciale per la sua rielezione l’anno venturo, il 14 maggio ha annunciato nuove misure per potenziare l’estrazione petrolifera in Alaska e nel Golfo del Messico. Passata l’onda emotiva e rimosso il grosso dei danni causati dalla piattaforma Deepwater Horizon, esplosa nell’aprile dello scorso anno riversando nel Golfo del Messico 4,9 milioni di barili di greggio, Obama intende riaprire un capitolo molto delicato: «Credo che dobbiamo aumentare la produzione petrolifera dell’America, pur potenziando gli standard ambientali e di sicurezza». Il Congresso, però, non sembra sentire ragioni e, facendo prevalere la logica della cautela su quella della produzione, come ha ribadito il presidente Comitato Energia e Risorse naturali del Senato, Jeff Bingaman, ritiene ancora prematuro allargare l’attività estrattiva.

Quote significative

Sono comunque in pochi a mettere in dubbio che le pressioni della lobby petrolifera siano destinate, alla lunga, ad avere successo. Oltre alla popolarità di un calo dei prezzi alla pompa, la ragione decisiva sta nel fatto che, del greggio che ci rimane (1.333 miliardi di barili di petrolio convenzionale, oltre a poco meno di 300 miliardi di greggio extra-pesante), una quota crescente proviene dalle risorse marine: il 40% della produzione attuale (88,4 milioni di barili al giorno nel secondo trimestre dell’anno) secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, con un obiettivo del 50% entro la fine del decennio, estratto in oltre metà dei Paesi del mondo. Per il gas la quota scende al 30% circa dei 3.000 miliardi di metri cubi prodotti lo scorso anno.

Il tesoro racchiuso nei fondali del pianeta è enorme, da 500 fino a 1.500 miliardi di barili di greggio, secondo varie stime. Uno studio del geologo americano Leigh Price, all’inizio del decennio scorso, valutava le sole risorse Usa tra 271 e 503 miliardi di barili, con un valore medio di 413 miliardi. Grazie ai continui progressi delle tecniche e dei mezzi di perforazione, è ormai certo che si tratta di risorse quasi tutte estraibili, a prescindere dalla profondità di collocazione. Infatti, come mostra il grafico a destra, in un quindicennio la profondità massima del mare in cui operano piattaforme e unità di ricerca è più che triplicata, passando da meno di mille a oltre 3.000 metri, quota raggiunta nelle scorse settimane al largo della costa occidentale dell’India. E i progressi continuano: la soglia dei 4.000 metri non è lontana, potrebbe essere toccata entro un paio di anni. Mentre il limite dei 10 km di profondità complessiva (acqua più spessore del fondale) è stata raggiunto recentemente nel Golfo del Messico.

Ma dov’è collocato il grosso del tesoro? Delle risorse Usa, quasi tutte concentrate nel Golfo del Messico (oltre alle acque di Alaska e California), abbiamo accennato. Questo bacino racchiude però anche le ricchezze di Messico (forse 50 miliardi di barili) e Cuba, che si appresta, iniziando proprio in questi giorni le prospezioni davanti alle sue coste, ad accertare la presenza di 5 (fonte Usa) o 16 (fonte ufficiale locale) miliardi che porrebbero l’isola al riparo dalla annose sanzioni economiche di Washington.

L’Artico ricco di gas

Oltre alle ormai note ricchezze delle coste carioca (50/60 miliardi, anche se di estrazione piuttosto difficile) e angolane (altri 15/25 miliardi), mari promettenti sono pure quelli dell’Estremo Oriente (dove nell’ultimo quinquennio sono stati spesi quasi 90 miliardi di dollari in prospezioni), mar Giallo, mare di Okhotsk e le acque dell’arcipelago indonesiano (forse 80-100 miliardi di barili complessivi), mentre tutte da valutare sono le risorse del golfo del Bengala (ma i primi ritrovamenti di Bangladesh e Birmania sono assai promettenti), delle coste del mar Arabico e dell’Africa orientale (dalla Somalia al Mozambico). Gli esperti del settore scommettono tuttavia sulla Namibia (le cui coste sono state finora requisite dalla De Beers, che vi estrae eccellenti diamanti), sulla Norvegia (la fascia settentrionale, dopo il lento ma costante depauperamento dei giacimenti del Mare del Nord) ma soprattutto sul mare Artico. Chris Nelder, analista energetico- finanziario, valuta quelle risorse in 85 miliardi di barili di greggio e in 44mila miliardi di metri cubi, rispettivamente il 6,3% del greggio ma ben il 23,5% del gas presente sulla Terra.