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 2011  maggio 29 Domenica calendario

UNA CHIESA SULL’AUTOSTRADA: LA FEDE E’ DAVVERO UN VIAGGIO

Code tra Pian del Voglio e Rioveggio. Il pannello di segnalazione (caratteri rossi su fondo nero) lancia l’inquietante messaggio ai viaggiatori che, dopo aver già superato i rallentamenti tra Firenze Certosa e Scandicci, si apprestano ad affrontare la roulette russa della A1, tratto appenninico Firenze-Bologna. Sarà forse proprio per questo malessere da ingorgo che la maggior parte degli stessi viaggiatori passa oltre, senza prestare (o quasi) attenzione a uno dei capolavori («tormentato» come lo ha felicemente definito Claudia Conforti in un suo articolo pubblicato nel 2006 sul numero 748 di «Casabella» ) dell’architettura italiana del Novecento, la chiesa dell’Autostrada del Sole, intitolata a San Giovanni Battista e progettata da Giovanni Michelucci. Una chiesa tenda (a questo fa pensare subito l’imponente tetto in rame), fatta per chi è in viaggio e concepita come «un luogo d’incontro— sono parole di Michelucci — tra uomini di ogni Paese quando, provenienti da ogni parte del continente, sostano per una tappa artistica inevitabile e necessaria a Firenze» . La chiesa, tecnicamente di proprietà della Società Autostrade (che l’aveva pensata in memoria degli operai caduti sui cantieri dell’Autosole), non rientra però nel territorio del capoluogo ma è una Rettoria dipendente dalla Pieve di Santo Stefano a Campi Bisenzio e fa parte del locale Vicariato. Eppure, nonostante tutte le buone intenzioni di Michelucci, questo incredibile spazio sacro non sembra esercitare più l’antico fascino sugli automobilisti che, invece, affollano costantemente il vicino autogrill (che nell’immaginario collettivo fiorentino rappresenta oltretutto uno dei luoghi eccellenti d’appuntamento). Forse per buona parte è colpa di quei cartelli fin troppo piccoli che si fa fatica a ritrovare in mezzo ad una selva di altre indicazioni (per l’uscita Firenze Nord, per Prato-Calenzano o per l’A11 verso la Versilia) ben più visibili. E che ben poco rendono onore a un universo di oltre seimila metri quadrati: la metà, o poco più, coperti (in un gioco di pietra rosata di San Giuliano, cemento armato, vetri molati, bronzi d’artista); l’altra metà «a giardino» , un giardino che Michelucci aveva pensato solo verde, perché non amava il colore e tutto quello che facesse pensare a un giardino romantico («Io sono un olivo, una quercia, un castagno» diceva spesso) e dove, però, con il tempo le robinie e gli aceri hanno preso il posto degli antichi pioppi. Certo ci sono pur sempre i turisti (nella maggior parte stranieri, molti americani e oggi tanti cinesi al posto dei classici giapponesi). Come ci sono pur sempre i fedeli di monsignor Elio Pierattoni, rettore della chiesa dell’Autostrada, attirati dalle sue messe della domenica: «Sempre affollatissime» dichiara con orgoglio Mario il sacrestano. In un dialogo degno dell’Acqua cheta di Novelli, il monsignore precisa: «Lo so. Vengono perché pensano che le mie omelie siano sci-sci» , ovvero molto chic per dirlo in vernacolo. Parlando poi di «parole come spermatozoi che devono generare qualcosa» e di «una fede che nasce dalla sofferenza» . E giustificando persino chi passa oltre: «In quelle macchine, alla domenica, ci sono magari due giovani sposi che per fortuna hanno ancora un lavoro, che hanno due figli piccoli e che si stanno godendo un momento di pace. Allora mi dico: chi glielo fa fare di fermarsi?» . Ma c’è una cosa che rende ancora più particolare il legame tra monsignor Pierattoni (classe 1925, musicista da sempre, membro della Commissione diocesana per l’arte sacra nonché pilota di aereo) e questa chiesa che nella galleria che precede la grande aula delle messe (sovrastata da una vera e propria tenda di cemento armato) propone una incredibile teoria di altorilievi, dieci in tutto, che raffigurano i santi patroni delle città attraversate dall’Autosole: da Sant’Ambrogio a Santa Giustina, da San Silverio a San Gennaro (sei realizzati da Emilio Greco, quattro da Venanzio Crocetti). Un legame strettissimo e che parte da molto lontano: perché il rettore è qui dall’inizio, da quando il 5 aprile del 1964 («Era stata una Domenica in Albis davvero splendida, dopo una Pasqua molto piovosa» ) l’arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit e l’allora presidente delle Autostrade Ezio Donatini (ma c’era anche il sindaco Giorgio La Pira) inaugurarono la chiesa di Michelucci. Nei ricordi sempre vivi del monsignore (vispo nonostante gli anni e l’apparecchio acustico), c’è la storia di un monumento costantemente alla ricerca di un (difficile) equilibrio tra la gestione dell’Autostrada e quella dell’arcivescovado: «I costi aumentano, i soldi sono sempre meno e tra un po’ ci sarà da restaurare il tetto» . Un monumento che sembra costretto a difendersi da continui assalti estetico-artistici: «Michelucci non voleva che ci fosse niente di più di quello che aveva progettato lui. La chiesa doveva essere vuota, perché doveva essere un luogo di silenzio per avvicinarsi a Dio. Le vede quelle sedie? Le ho fatte mettere io ma dovrebbero essere tolte dopo la messa, solo che non lo fanno quasi mai» . Ma ci sono anche i quadri (otto angeli e un Battista) che il maestro Gregorio Sciltian aveva dipinto appositamente per la chiesa: «Non sarebbero piaciuti a Michelucci, non li ho voluti— dice con orgoglio il rettore —. Ma può vederli nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria a piazza Sant’Euclide, a Roma» . Il loro è un destino comune a tanti altri piccoli grandi manufatti rifiutati (come il bronzo e le altre statue sparse nel giardino) perché «non rispettavano il pensiero dell’architetto» . Questo monsignor «di frontiera» trova persino il tempo per qualche riflessione polemica: «Essere il prete della chiesa dell’Autostrada è come essere il guardiano di un faro. Questo deve sapere il mio successore» . Così come dovrà sapere che le sue sono giornate spesso vuote: «Dico la messa e il rosario nel convento delle monache qui vicino, mangio, leggo. Ma in fondo va bene così» . Perché la sua passione e i grandi amori sono Dio e questa chiesa che lui stesso definisce «non tanto cattolica, piuttosto luterana» . D’altra parte, dice il monsignore, «Un luogo finisce per entrarti dentro quando ci vivi da sempre. E i complimenti come le critiche finisci quasi per credere che siano rivolti a te» . Fin dall’inizio della sua esistenza, il destino della chiesa di San Giovanni Battista (che inequivocabilmente fa venire in mente quella, ben più celebrata, di Le Corbusier a Ronchamp) è sempre stato complicato. Persino per lo stesso Michelucci «che non partecipò alla inaugurazione per polemica» e che subentrò solo in un secondo tempo, perché «c’era stato il progetto di un ingegnere scelto dalla Società autostrada che non era piaciuto» . A certificarne l’esatto valore ci pensano però i critici che parlano di capolavoro assoluto: da Bob Venturi («Un bellissimo insieme di luce, struttura e spazio» ) a Gio Ponti (che lodava «la sintesi di tecnologia e artigianato che la rende al tempo stesso antica e moderna» ) fino a Giovanni Klaus Koenig (che ne celebrava «l’originalità, il suo essere al tempo stesso spazio architettonico e scultoreo» ). La Toscana, si sa, è terra di critiche feroci e irriverenti. Allora persino monsignor Elio Pierattoni piuttosto che le tante lodi (a cominciare da quelle di Bruno Zevi) invita a leggere certi commenti al vetriolo lasciati sul libro delle presenze (c’è anche un augurio a firma dell’allora arcivescovo Karol Wojtyla, era il 14 novembre 1965, che recita «Deus adiuvet in ministerio!» ): soldi sprecati, una forma che conferma l’esistenza di un imbecille in più su questa Terra, perdonate Signore!, mi fa pensare all’Osteria del Gambero Rosso di Pinocchio. Ma se c’è anche chi ringrazia Michelucci per questa chiesa «dove si sente di poter pregare!» (è l’opinione di monsignore) vuol dire che l’esperimento è riuscito, che questo non è, insomma, un «non luogo» alla Marc Augé. E che vale sempre e comunque la pena di fermarsi qui (cartelli permettendo) prima di cimentarsi con la roulette russa dell’Autosole, tratto appenninico Firenze-Bologna.
Stefano Bucci