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 2011  maggio 29 Domenica calendario

CORSA AGLI INCENTIVI PER LE RINNOVABILI. UN CONTO (IN BOLLETTA) DA 100 MILIARDI

Dotare l’Italia delle telecomunicazioni in banda larga, indispensabili per aumentare la produttività dell’intera economia, comporta investimenti dai 7 ai 15 miliardi di euro in 5 anni a seconda che si vogliano collegare solo i centri più popolati o l’intera penisola in fibra ottica o wi-fi. Poiché il ritorno dell’investimento è a lungo termine e si riversa sul Paese più che su Telecom Italia, la società nicchia in attesa che il governo o le regioni decidano se e quanti incentivi stanziare.
Estendere la rete ferroviaria ad alta velocità fino a Genova e a Trieste comporta investimenti per 20-22 miliardi che non potranno essere interamente ripagati da Trenitalia e dai suoi concorrenti: un pedaggio adeguato renderebbe troppo caro il biglietto per i passeggeri. Ci vorrebbero aiuti pubblici a fondo perduto, in mancanza dei quali i progetti fatalmente rallentano.
L’Italia spende in ricerca l’ 1,23%del prodotto interno lordo. Più di tanto il settore privato non potrà mai fare perché le sue grandi imprese in grado di ammortizzare una tale spesa sono poche. Se l’Italia vuole raggiungere i migliori d’Europa, non può non far leva sullo Stato. Ma il governo deve anzitutto contenere il deficit pubblico, e taglia. L’elenco potrebbe continuare, ma bastano questi tre esempi per capire come la modernizzazione del Paese passi certo dall’intraprendenza dei cittadini, che va esaltata e non depressa, ma anche da alcuni interventi pubblici laddove al privato non convenga fare da sé. Reperire e usare bene le risorse diventa così un impegno centrale dell’azione di governo, addirittura cruciale in questi tempi di finanza pubblica d’emergenza.
Ora, gli incentivi che il governo della lesina non riesce a mettere in campo per banda larga, infrastrutture e ricerca saltano fuori— moltiplicati ad libitum — per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il 19 maggio 2011 il presidente dell’Autorità per l’energia, Guido Bortoni, ha depositato una memoria di 25 pagine alla Commissione ambiente della Camera, che dà le prime cifre ufficiali: 100 miliardi di euro di aiuti in via di erogazione tra il 2010 e il 2020 a cinque titoli: incentivi del vecchio Cip 6 a esaurimento; quelli del nuovo decreto 28/11; tariffa onnicomprensiva; certificati verdi; fotovoltaico. A fine decennio l’onere annuo può salire a 12 miliardi. E qui l’Autorità si ferma. Ma il flusso dei contributi continuerà ancora a lungo. In particolare, nel fotovoltaico che va a regime nel 2015 assorbendo poi stabilmente 6,5-7 miliardi l’anno. A tutto il 2035, quando cesseranno i sussidi ai pannelli del 2015, è ragionevole stimare che solo sul fotovoltaico pioveranno via via altri 70 miliardi. Stiamo dunque parlando di 170 miliardi di euro in 25 anni. Capite la cifra? Centosettanta miliardi per produrre in modo inefficiente quando, invece, dimostriamo una taccagneria scozzese sull’efficienza energetica, se è vero che, nel quinquennio 2005-2009, per risparmiare un kWh è bastato un incentivo di 1,7 centesimi mentre lo stesso kWh prodotto da fonti rinnovabili ottiene da 8 a 44 centesimi secondo la tecnologia.
Dopo tante chiacchiere su nucleare e solare, gas e carbone, sul rapporto tra pubblico e privato, forse sarà il caso di compromettersi con un giudizio di merito sull’uso di una tale somma. Il dubbio radicale — qualcosa di più di un dubbio— è che gli stessi obiettivi di tutela ambientale e di sviluppo dell’economia possano essere raggiunti altrimenti, con una spesa pubblica assai minore e dunque con la possibilità di trovare qualche miliardo l’anno da utilizzare meglio a parità di prelievo dalle tasche dei cittadini.
Qualcuno dirà che non si tratta di spesa pubblica perché questi incentivi vengono finanziati dai consumatori, attraverso la componente A3 della bolletta, e non dal Tesoro attraverso l’emissione di Btp. Ma qui non siamo a Bruxelles a vendere sofismi sul Patto di stabilità. Qui stiamo facendo i nostri conti. E allora, visto che la bolletta non possiamo non pagarla, quella componente A3 è di fatto un’imposta indiretta travestita. Che debba, fra l’altro, servire allo smantellamento del nucleare è una nostra scelta, fatta con un referendum. Che debba invece servire anche a quanto sopra lo stanno decidendo il governo e il Parlamento nella disattenzione dei più: anche di tanti che hanno tuonato — e non senza ragione— contro l’invadenza della mano pubblica. Questa che cos’è?
P. S. Secondo il Solar Energy Report 2011 del Politecnico di Milano, il fotovoltaico genera in Italia 18.500 posti di lavoro diretti che arrivano a 55 mila con gli indiretti. Sarebbe interessante se lo stesso Politecnico o un’altra università pubblica o privata avviasse uno studio, magari coordinando alcune tesi di laurea, sui sussidi pro capite dei settori assistiti di oggi e di ieri.
Massimo Mucchetti