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 2011  maggio 29 Domenica calendario

«MIO PADRE L’ANTI-ITALIANO. MA IO BENEDICO LA RIVOLTA» —

Un bambino di sette anni saluta suo padre sulla soglia di casa. L’uomo si china per un abbraccio e un bacio. «Devo partire per la guerra, piccolo mio. Tu studia il Corano e non abbandonare mai la via della tua religione» . Era un giorno d’estate di 83 anni fa. Mohamed Mukhtar non ricorda nemmeno più se quel giorno pianse oppure no ma se chiude gli occhi quasi può sentire la carezza di suo padre, l’ultima. Lo vede allontanarsi a cavallo, avvolto nel suo mantello bianco, e vede se stesso correre a pregare, per non deluderlo. Mentre racconta di lui non dice «mio padre» , dice Omar al-Mukhtar, «perché non è mai stato soltanto mio padre ma il padre di tutti i libici» . Eroe della resistenza anti-italiana in Libia per quasi vent’anni, Omar al-Mukhtar è il leggendario combattente della guerriglia anticolonialista che il mondo imparò a conoscere con Anthony Quinn nel film «Il leone del deserto» . «Un gran bel film, l’ho visto più volte e mi sono sentito orgoglioso di essere il figlio di Omar al-Mukhtar — sorride Mohamed — peccato che voi in Italia l’avete visto così in ritardo» . Il colossal è datato 1981 e fu finanziato da Muammar Gheddafi che aspirava a diventare l’erede di Omar al-Mukhtar. Proiettato in tutto il mondo, nel nostro Paese è stato invece censurato per quasi 30 anni per «vilipendio alle forze armate italiane» . Fu Sky, a giugno del 2009, a rompere il divieto mandandolo in onda. «Dal film si capisce quanto è stato crudele il generale G r a z i a n i — d i c e Mohamed— ma io so che non tutti i fascisti erano come lui. C’erano anche uomini buoni, fra quelli mandati da Mussolini, e almeno due di loro trattarono Omar al-Mukhtar con gentilezza, quasi con deferenza» . Dopo anni di agguati e molte perdite in zone impervie che gli italiani non conoscevano, il generale Rodolfo Graziani capì che con la sola guerriglia non avrebbe mai catturato «il leone del deserto» che invece -dopo una vita da imam spesa in un villaggio fra Barca e Maraua, nella tribù dei Mnifa -in quel territorio di sabbia e montagne, e nonostante i suoi anni, si muoveva con grande agilità. Graziani lo voleva ad ogni costo. Così gli fece terra bruciata attorno: pozzi d’acqua avvelenati, armi chimiche, villaggi rasi al suolo, migliaia di deportati, beni confiscati. L’11 settembre del 1931 squadroni libici a cavallo ferirono (a un braccio) e catturarono Omar al-Muktar. Il beduino eroe della resistenza fu impiccato il 16 settembre a Soluch, una sessantina di chilometri a sud di Bengasi. Aveva 70 anni. «Noi venimmo a saperlo solo quindici giorni dopo — ricorda Mohamed — Eravamo in Egitto, dove lui mi aveva salutato per l’ultima volta, nel 1928. Rimanere in Libia per la nostra famiglia era diventato rischioso, gli italiani ci davano la caccia. Siamo tornati nel nostro Paese nel 1943» . Su un mobile in fondo alla sala ci sono le fotografie in bianco e nero dei gerarchi fascisti che accompagnano al patibolo Omar al-Muktar in catene. Mohamed dà un’occhiata veloce e sorride. «Vi ho perdonato già da molto tempo, voi italiani. Sono perfino venuto in Italia con Gheddafi, ricorda?» . Il Raìs arrivò in visita di Stato a Roma con la fotografia di Omar al-Muktar incatenato appuntata sul petto e con Mohamed accanto. Era giugno di due anni fa. «Avevo già molti dubbi, però pensavo ancora che fosse un uomo in grado di governare la Libia— dice oraMohamed — ma vedo che Gheddafi adesso è diventato pazzo e il popolo libico no ha bisogno di un pazzo. Anche se sono vecchio e lento sono andato in piazza a benedire i ragazzi rivoluzionari della nuova Libia» . Mentre percorreva le vie di Bengasi ha visto l’immagine di suo padre ovunque. Sui cartelloni all’ingresso della città, sulle magliette dei ragazzi, sugli adesivi di ogni genere e forma, sulle finte banconote da un dinaro (su quelle vere c’è Gheddafi), sulle bandiere, sui muri, ovunque. «E’stata un’emozione immensa, anche se so che in fondo non è cambiato nulla. Mio padre (stavolta dice "mio padre", ndr) è sempre stato nel cuore del suo popolo anche quando la sua immagine non si vedeva così tanto» . Di lui a Mohamed non è rimasto niente, nemmeno un piccolo oggetto, e con il tempo si fa sempre più sbiadito anche il ricordo di quell’uomo vestito di bianco che si allontana a cavallo. Il figlio del leone del deserto chiude gli occhi un istante, segue pensieri lontanissimi: «E’il momento della mia preghiera» , annuncia. Sono passati 83 anni, un istante solo. Mohamed stringe nelle sue mani avvizzite un vecchio Corano. La memoria mescola il tempo, ora suo padre lo abbraccia sull’uscio. «Tornerò presto, piccolo mio» . E quel bambino di sette anni corre a pregare.
Giusi Fasano