Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 29 Domenica calendario

LE FOTO, LE ARMI, I SOGNI: VITA DA SOLDATO

Carlo è un veterano delle missioni militari. «Ho passato 15 anni a mangiare polvere nei deserti e a tremare di freddo sulle montagne — racconta —. Sono un soldato e ho scelto io la mia vita. Vengo da un paese della Puglia e quando mi domandano perché rischio la vita, invece di trovarmi un mestiere tranquillo, rispondo sempre che lo faccio perché sono un uomo generoso. Mi piace dare una mano a chi ha bisogno» . Un giorno in Iraq, nel deserto di Nassiriya, era arrivato un gruppo di militari dall’Italia. Carlo vide un novellino che si guardava intorno un po’intimorito. «Qualcosa non va?» , domandò. «No — disse lui —, mi chiedo solo come posso essere utile qui» . Allora lo fece salire su un blindato e disse all’autista di portarli fuori della base. «Ci venne incontro un gruppo di bambini. Scalzi e sporchi di polvere. Aspettavano l’acqua. Gli passammo le bottiglie e loro gridarono di gioia. La vita di un soldato è questa: sentire nel cuore un brivido di piacere quando fai felici gli altri» . Una bottiglia d’acqua nel deserto non serve solo a dissetare i bambini. Lui la usava per lavarsi i denti, per sciacquarsi il viso e, quand’era vuota, la teneva accanto al letto. «Se la notte scappava la pipì, era utile» . Sono le piccole cose che ti mancano. Un caporale di nome Gianni era ossessionato con un albero. «È un carrubo bello robusto — diceva —. Sta proprio davanti casa mia, e io da bambino legavo la corda a un ramo e facevo l’altalena» . Chissà perché sognava sempre quell’albero. Invece il maresciallo Biagio smaniava per la sua piccola Irene di 4 anni. In Afghanistan Carlo il veterano lo vedeva sbaciucchiare la foto della bambina. Le scriveva sms e email: «Piccola, il tuo papino ti vuole tanto bene» . Appena poteva, portava caramelle e biscotti ai bimbi di Herat. «Mia figlia è più fortunata— diceva —. Questi conoscono solo la guerra. Per colpa dei grandi sono infelici» . Marco l’alpino ha creato un sito dove racconta come aiuta i bambini afghani. Al suo paese è un idolo dei giovani, i quali gli scrivono: «Sei un grande, qui invece si parla solo di droga e alcol» . I militari sono tipi orgogliosi. «Per indossare la divisa— dice Carlo — abbiamo superato prove molto dure. Ci hanno sfiancato con marce, arrampicate, percorsi di guerra. Dovete soffrire — ci diceva l’addestratore — perché quando vi troverete davanti al pericolo avrete dentro l’energia per reagire. La vostra vita sarà tutta azione. Non tutti ce l’hanno fatta. Solo i migliori. Solo persone che fanno fare bella figura al nostro Paese e si fanno voler bene in ogni parte del mondo. A Timor Est, in Indonesia, ci adoravano. Quando vedevano passare i nostri mezzi i bambini gridavano: Taliani, taliani» . «Non ho paura— gli diceva il caporale Valerio mentre si preparavano a un pattugliamento in Afghanistan —. Temevo che me la sarei fatta sotto. Invece ora che ci sono dentro mi sento forte» . Anche Carlo si sentiva forte quando ha passato un paio di settimane barricato con altri 40 uomini in un bunker scavato a nord di Herat, in mezzo al nulla. «La gente del villaggio— disse il tenente — ha il cuore pieno di speranza. Siamo la loro salvezza contro i soprusi dei talebani. Non possiamo deluderli» . Un giorno si è avvicinato un uomo del villaggio e ha offerto tutto ciò che aveva: una mela. Carlo ricorda il vento gelido che si alzava di notte. «Io vengo dal mare— diceva il maresciallo Rosario —. Sono siculo e l’aria di mare è pulita, non come questo schifo di polvere» . Nostalgia del mare, mentre il maresciallo Pasquale, napoletano, un tipo molto serio con la voce cupa sognava il Napoli campione d’Italia. «Ci serve un nuovo Maradona» , diceva. Nel silenzio della notte si sentiva il caporale Antonino che puliva il suo fucile. C’è un rapporto di amore con la propria arma. Non perché hai voglia di scaricarla contro qualcuno, ma perché è la tua assicurazione sulla vita. Carlo leggeva nel blog di un militare il messaggio di un pacifista il quale esortava a gettare via le armi. E il militare rispondeva: «Sarebbe bello mettere fiori nei cannoni. Ma sin dall’età della pietra l’uomo si è trovato nella necessità di difendersi dalle aggressioni» . Qualcuno non torna a casa. Carlo il veterano conosceva il caporalmaggiore Giandomenico che ha lasciato la vita a Kabul. E ricorderà sempre le parole della sua ragazza: «Mi avevi comprato una tv enorme. Dovevamo metterla in casa nostra dopo sposati. E invece attraverso quella tv ho appreso dai telegiornali la tua fine» .
Marco Nese