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 2011  maggio 29 Domenica calendario

E GLI ALLEATI ALL’ESTERO STANNO GIA’ VOTANDO PER I REFERENDUM

Devono proprio voler bene all’Italia, gli italiani all’estero: dopo averne viste di tutti i colori, stanno votando già da giorni sul nucleare nonostante il referendum possa saltare. In base alle regole, infatti, le loro urne sono già aperte. Prima che la Cassazione, mercoledì, decida. E i loro voti? Boh... È un atto di fede quello che viene chiesto dallo Stato ai nostri connazionali che vivono fuori dall’Italia. L’ultimo di una lunga serie. Prima hanno sopportato decenni di indifferenza e di abbandono. Poi l’ipocrita entusiasmo collettivo per la concessione del voto ai «fratelli lontani» , frutto di un equivoco sulle loro idee politiche... Poi le regole demenziali per la rappresentanza con il conseguente sbarco a Montecitorio e a Palazzo Madama di «italiani all’estero» che all’estero non c’erano mai stati, come il senatore Nicola di Girolamo, che prima di finire in galera per i suoi rapporti con la ’ ndrangheta era stato denunciato per avere «dichiarato falsamente di essere residente in Belgio» ... Poi il diffuso rimpianto tra i partiti per aver concesso a questi «ex italiani che non sanno nulla di noi» la possibilità di influire sulla politica nazionale... Insomma, un rapporto controverso. Che trova il suo sigillo, come dicevamo, nei documenti inviati in queste settimane a circa 4 milioni di persone con passaporto italiano (determinanti forse per superare o meno il quorum) con l’invito a rispondere ai quesiti referendari indetti per il 12 giugno: privatizzazioni di alcuni servizi pubblici, abrogazione della legge berlusconiana sul legittimo impedimento, gestione ai privati dell’acqua e, appunto, nuove centrali nucleari. Il guaio è che quest’ultimo quesito, com’è noto, è stato messo in dubbio dalla «moratoria» sugli impianti atomici decisa dal governo per impedire che i cittadini, come hanno spiegato vari esponenti del governo, votino «condizionati dall’emotività a ridosso del disastro di Fukushima» . Moratoria infilata all’ultimo istante nel decreto omnibus passato con la fiducia la sera del 25 maggio, cioè mercoledì, quattro giorni prima dei ballottaggi a Milano e Napoli forse cruciali per il governo, quando già molti italiani all’estero, in base alla legge 459 del 2001, avevano ricevuto la scheda elettorale. Con il risultato paradossale che questi elettori, che hanno un certo numero di giorni a disposizione per rispondere, possono votare entro il 1 ° giugno. Cioè perfino dopo l’eventuale sentenza della Cassazione prevista proprio mercoledì. Tema: c’è un altro Paese al mondo dove possa accadere un delirio simile? Il pasticcio è stato denunciato da Gianluigi Pellegrino, il legale che segue per conto del Pd la causa referendaria: «Sarebbe il colmo se al furto della consultazione tentato con il decreto omnibus si aggiungesse lo scippo del voto già dato da parte degli italiani all’estero» . Lui stesso, s’intende, non crede che questa stortura, per quanto cervellotica, possa essere determinante per i giudici chiamati a decidere. Men che meno per invalidare la moratoria e salvare il referendum. Ma la vicenda, dice, «dimostra quanto evidente sia stata la violazione dei principi di "sensibilità politica del Parlamento"richiamati nel 1978 dalla Corte Costituzionale. Che, decidendo su un caso simile (anche se allora l’intervento per evitare il referendum sull’ordine pubblico era una furbizia meno smaccata), stabilì in sostanza che Camera e Senato hanno sì il diritto di cambiare una legge sottoposta alla consultazione popolare anche all’ultimo istante, ma non se si tratta solo di un trucco. E in ogni caso credo che la Consulta non avrebbe mai immaginato che si intervenisse quando persino si è già cominciato a votare...» . In quella sentenza, numero 68/1978, la suprema corte diceva che sì, in base alla legge vigente, non poteva che prendere atto del passo fatto dal Parlamento (la sostituzione di una parolina) per evitare i referendum. Ma invitava il Parlamento stesso a correggere la legge che regola le consultazioni perché così com’era fatta non consentiva la possibilità di smascherare i trucchi e quindi la «tutela dei firmatari delle richieste di referendum abrogativo» . Per capirci, spiegavano i giudici, «la stessa riproduzione integrale dei contenuti di una legge preesistente, operata da una legge nuova, basterebbe a precludere l’effettuazione del referendum già promosso» . Ha avuto 33 anni di tempo, da allora, il Parlamento, per rimediare a quell’assurdità che consente ogni furbizia alla maggioranza in carica per scansare i rischi del voto popolare. Ma si è ben guardato dal farlo.
Gian Antonio Stella