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 2011  maggio 30 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 30 MAGGIO 2011

«Escludo nel modo più categorico una crisi di governo anche se dovessimo perdere a Milano e a Napoli» ha detto venerdì Silvio Berlusconi chiudendo la campagna elettorale nel capoluogo campano. Barbara Fiammeri: «In pericolo non sono solo Milano e Napoli ma anche Cagliari e Trieste, entrambe governate finora dal centrodestra». [1] Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: «Sono elezioni amministrative parziali. E in quanto tali valgono come un importante sondaggio. Nessuno, quindi, può considerarle alla stregua di elezioni politiche per cui il governo si deve dimettere, si cambia maggioranza e così via». [2] Luca Ricolfi: «Quando si sceglie un sindaco, Berlusconi e Bersani non c’entrano nulla». [3]

Alle 15 si chiuderanno le urne per i ballottaggi in 13 comuni capoluogo (Cagliari, Cosenza, Crotone, Grosseto, Iglesias, Milano, Napoli, Novara, Trieste, Pordenone, Rimini, Rovigo, Varese) e 6 province (Macerata, Mantova, Pavia, Reggio Calabria, Trieste, Vercelli). Secondo l’opposizione, il premier è «rassegnato a fare i conti con un vero e proprio tsunami». Carmelo Lopapa: «Pdl in frantumi, peones in transito che frenano il passaggio al centrodestra, la diaspora dei Responsabili. Il governo rischia di tornare pericolosamente sotto quota 316 proprio quando sarà chiamato ad affrontare il voto d’aula sull’ingresso dei nuovi sottosegretari». [4]

«La balcanizzazione del Pdl ha raggiunto ormai livelli inimmaginati solo poche settimane fa», gongola da giorni il centrosinistra. Sara Nicoli: «Frattini e Scajola a pranzo insieme (giovedì) per vedere di far coincidere, almeno sulla carta, la corrente di Liberamente con la fondazione di “sciaboletta”; Alemanno e Renata Polverini ormai apertamente sull’Aventino con quest’ultima che, in Regione, ha decretato finita la coalizione con il Pdl perché ha giudicato “un atto di ostilità” il passaggio di due consiglieri dalla sua lista al partito dei berluscones. Eppoi gli ex aenne anti La Russa, con Matteoli e Augello in prima fila, che puntano a fare un gruppo autonomo sul genere di quello di Viespoli al Senato. Infine, la mina Micciché, che aspetta che si riapra il Parlamento per aprire il suo gruppo Forza Sud almeno alla Camera». [5]

Negli ultimi giorni la Lega ha lanciato evidenti segnali di insofferenza. [1] Stefano Folli: «Per il partito di Bossi c’è da ricostruire un rapporto con la base, il “popolo padano”, dopo un risultato non buono e in qualche caso pessimo. Identità e autonomia: sarà questa la strada. Ricerca dell’identità perduta sui temi cruciali del leghismo e maggiore autonomia dal Governo e da un Berlusconi sofferente e isolato. Come graduare questa autonomia, lo deciderà Bossi, ma forse non solo lui: il vertice del Carroccio oggi assomiglia meno a una monarchia assoluta e più a una piccola assemblea di oligarchi in cui qualcuno pensa che sia arrivata l’ora di archiviare la lunga stagione del rapporto esclusivo con Berlusconi. Di qui una serie di ipotesi: dalla riforma elettorale discussa con il centrosinistra a un governo diverso, con un altro premier». [6]

Il malessere più forte si avverte nel comparto ex-An, tra coloro che sono rimasti con il Cavaliere, e tra quelli usciti dal partito con Fini. Marcello Sorgi: «Tra i due pezzi separati dell’ex partito post-fascista è rinata un’attrazione che dovrebbe portare, presto, alla nascita, o alla rinascita, di un gruppo parlamentare di destra in cui confluirebbero i fuorusciti da entrambe le parti, Pdl e Fli, pronti ovviamente a negoziare i loro voti con Berlusconi, se riuscirà a superare il passaggio difficile che sta attraversando, o eventualmente con chi verrà dopo di lui. In questa direzione si muove attivamente il sindaco di Roma Alemanno, su cui è circolata perfino l’indiscrezione, non confermata, che sarebbe disposto a lasciare prima del tempo il Campidoglio per organizzare le nuove truppe e soprattutto per ritagliarsi un ruolo nella nuova stagione postberlusconiana». [7]

Alemanno aspetterà il risultato dei ballottaggi prima di invocare le assise del Pdl. Francesco Verderami: «“Serve un congresso — spiegava il sindaco di Roma già dopo il primo turno— altrimenti salta tutto” . L’area che proviene da An è quella dove si avverte maggiore sofferenza, e se è vero che La Russa tempo addietro ha provato a ricomporla— ipotizzando la costruzione di un nuovo partito di destra — è altrettanto vero che non ha trovato udienza tra gli altri ex colonnelli. “Non esiste la possibilità di tornare al passato” , secondo Matteoli: “Nè esiste l’ipotesi che cambi l’attuale scenario, dato che Berlusconi resta insostituibile almeno fino alle prossime elezioni. Poi, certo, il partito lo si può organizzare meglio”». [8]

«Se perdessimo a Milano e Napoli, da una parte cadrebbe il mito dell’invincibilità berlusconiana, indebolendo la figura del Cavaliere anche agli occhi dei suoi; dall’altra, come conseguenza, la successione non potrebbe più essere gestita solo dal premier, ma sarebbe una partita aperta dove ognuno potrebbe giocare le sue carte», ragionava in settimana a Montecitorio un deputato del Pdl. Gianluca Roselli: «E, secondo queste riflessioni, non è un caso se Roberto Formigoni è tornato a parlare di primarie per decidere il prossimo candidato premier». [9] Verderami: «Si sono ormai (quasi) tutti convinti che sia necessario dotare il partito di una “spina dorsale”, di una nuova struttura che protegga Berlusconi e il futuro di quanti ambiscono a esserci anche dopo Berlusconi». [8]

Il Cavaliere, se potesse, consegnerebbe subito ad Alfano il comando del partito, magari affidando a Verdini il ruolo di uomo-macchina. Verderami: «Ma per far capire che in futuro nel Pdl (o come si chiamerà) non si procederà per designazioni bensì attraverso una leale competizione, il Guardasigilli raccoglie la proposta di Formigoni sulle primarie, “uno strumento che — a suo dire — non garantisce poi la vittoria, ma stabilisce comunque un rapporto diretto con la gente, chiamata a selezionare i candidati, che a loro volta traggono forza dal legame con l’elettore” . È l’esperienza dei Vendola, dei Renzi e dei Pisapia nel centrosinistra che induce Alfano a non scartare l’opzione delle primarie, convinto com’è che le urne avranno sul suo partito “l’effetto di una forza centripeta e non centrifuga”». [8]

«C’è nel partito un’ampia “maggioranza taciturna”, fatta da una larghissima parte di ex Forza Italia e anche di ex An, che vuole difendere Berlusconi, il governo e, allo stesso tempo, mantenere in piedi il Pdl» ha detto Cicchitto al Corriere della Sera: «Servono i nervi saldi e serve soprattutto mettere le mani a una rivisitazione del programma di governo che coniughi rigore e crescita. A ciò va aggiunto un intervento per rilanciare il Pdl, per superarne le contraddizioni, radicandolo sul territorio e dandogli regole democratiche alle quali tutti devono attenersi. Insomma, non è il momento delle correnti, delle firme sotto un documento, ma quello di prendere di petto la questione: per difendere un leader carismatico come Silvio Berlusconi serve un partito forte». [2]

La sconfitta dei candidati di centrodestra ai ballottaggi rafforzerebbe il Partito democratico, che finalmente vedrebbe aprirsi una possibilità concreta di battere Berlusconi, al termine di questa legislatura (2013) o più plausibilmente già la primavera prossima. Ricolfi: «È possibile, ma esiste anche uno scenario meno roseo. Se a dare la vittoria al centro-sinistra fossero i ballottaggi di Napoli e Milano, con annesso trionfo di De Magistris e Pisapia, il risultato sarebbe anche un rafforzamento delle forze politiche alla sinistra del Pd, ovvero Idv (Di Pietro) e Sel (Vendola). Ed è difficile pensare che, a quel punto, Vendola non riproporrebbe la propria candidatura a guidare il centro-sinistra alle prossime politiche». [3]

Decine di ricerche e sondaggi mostrano che il baricentro dell’elettorato del Pd molto più a sinistra di quello dei suoi dirigenti. Ricolfi: «E che in caso di separazione fra la sinistra assennata (riformisti del Pd, che guardano all’Udc di Casini) e quella più radicale (Idv, Sel, Verdi, partiti comunisti vari) sarebbe quest’ultima a raccogliere i maggiori consensi». [3] Folli: «Il centrosinistra di Governo è ancora tutto da costruire. Al momento non hanno torto quanti prevedono un pasticcio contraddittorio in stile vecchio Ulivo, qualora mai fosse trasferito sul piano nazionale lo schema che sta avendo successo nei due comuni maggiori. La strada per Bersani è ancora lunga e tutta in salita». [6]

Il triangolo Casini-Fini-Rutelli ha avuto nel complesso risultati deludenti. Folli: «Talvolta quasi irrisori. Ma in proiezione nazionale quei voti, per quanto scarsi, rischiano di essere necessari per governare il paese in una cornice di coesione nazionale e non di tendenziale, metaforica guerra civile». [6] Casini ha chiuso la campagna elettorale a Macerata in compagnia di Massimo D’Alema: «La nostra famiglia europea è quella di Angela Merkel. In condizioni di normalità saremmo in competizione con la sinistra. Ma ci sono state stagioni in cui la stessa Merkel ha collaborato al governo con la Spd». [10]

Pur flirtando con D’Alema, Casini ha mandato un messaggio al Pdl: «La mia speranza è che all’interno di quel partito emergano le forze responsabili». [10] In precedenza, era arrivato il messaggio via Porta a porta di Berlusconi: «Sarei pronto a farmi da parte se ci fosse qualcuno in grado di riunire i moderati». Verderami: «È chiaro che il Cavaliere confida ancora di poter trovare un’intesa con l’Udc senza fare un passo indietro, missione impossibile e che tuttavia coltiva. Ma se quell’appello all’“area moderata” che ha “comuni radici nel popolarismo europeo” non dovesse essere colto oggi da Casini, non è detto che non verrebbe ripresa domani. Da due anni il leader centrista lo ripete: “Finché c’è Berlusconi è impensabile. Dopo no”». [8]

Note (tutte le notizie sono tratte dai giornali del 28/5): [1] Barbara Fiammeri, Il Sole 24 Ore; [2] Lorenzo Fuccaro, Corriere della Sera; [3] Luca Ricolfi, La Stampa; [4] Carmelo Lopapa, la Repubblica; [5] Sara Nicoli, il Fatto Quotidiano; [6] Stefano Folli, Il Sole 24 Ore; [7] Marcello Sorgi, La Stampa; [8] Francesco Verderami, Corriere della Sera; [9] Gianluca Roselli, Libero; [10] Claudio Sardo, Il Messaggero.