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 2011  giugno 02 Giovedì calendario

LA RIVOLUZIONE DI ADRIANO

Adesso che l’ora delle elezioni è arrivata, Adriano Celentano può tornare ragazzo. Aggiustava gli orologi nel tinello di casa. Lancette, rintocchi, molle e corone. Qualcuno avrebbe voluto quella di sindaco di Milano sulla sua testa, ma in poltrona ci si addormenta. Così Celentano cronometra le proposte degli altri e, intanto, suona la sveglia. Due giorni di tempo. Moratti e Pisapia. Insulti, denunce, tensioni e carezze che in campagna elettorale hanno lasciato spazio ai pugni. O l’una o l’altro. Alternative non esistono. Sul treno di Adriano pensieri e desideri sono più larghi degli scompartimenti e persa la coincidenza delle convergenze impossibili, Celentano sceglie il candidato del centrosinistra. Si schiera. Parla anche di Berlusconi, Fini, D’Alema e Beppe Grillo. Affronta il tema dei referendum di metà giugno e le spine dei processi di Dell’Utri. Discute di censura e mezzo televisivo mettendo al centro del tavolo un’idea di spettacolo che perpetua, da sempre, indifferente alle critiche. Supera i timori di una vita e attraversa le odiate gallerie del dubbio perché quando il contesto è scuro, non si può aver paura del buio.
Adriano Celentano non prende l’aereo ma vola, da 73 anni, sui cambiamenti di un Paese che "non ha nemmeno più la forma dello stivale". Divide, provoca, propone e giudica. Tra il numero 14 di via Cristoforo Gluck e il portone di Palazzo Marino, ballano quattro chilometri di incertezze, grattacieli, "case su case, catrame e cemento". In mezzo al traffico, le antenne di Adriano. La Milano di questi giorni è un programma che "va ascoltato a tutto volume" e il re degli ignoranti, con il diploma elementare in tasca e l’istinto da cattedratico, non si è stancato di imparare. Croce al collo, occhiali, lunghe mani che sfiorano il mento, pause calcolate perché anche se ogni previsione si è avverata, la sicurezza non sembri presunzione. Il rock, il cinema, la musica, gli schermi di ogni dimensione per difendersi e proiettarsi.
Da mezzo secolo, Celentano anticipa prospettive e mutamenti seguendo un avversato spartito che allerta il potere e destruttura le liturgie. Quando appare in tv, l’Italia si ferma. Lo amano. Lo odiano. Senza vie di mezzo o, peggio, compromessi. Lasciato l’eremo della villa di Galbiate, Brianza profonda, dove si ritirò a metà dei Sessanta, Adriano si piega all’intervista nella sua città d’origine. Non ne concede da anni, ma questa volta le lettere al "Fatto" o al giornale della sera non bastano più. Ad accompagnare l’erede di una sarta e di un commesso viaggiatore, la figlia di un muratore comunista, Claudia Mori. Si sposarono di nascosto, in una chiesa di Grosseto, nel 1964. Si sono fatti compagnia ingannando i decenni senza che le nuvole oscurassero il lampo degli albori. Celentano, anche a 73 anni, è rock e l’unica maniera di difendere un principio è attaccare. La prudenza tace. "Parlare senza dirsi niente", sostiene, "è lento".
Giuliano Pisapia è solo un nome che dimenticheremo o il sintomo di uno spostamento sentimentale dopo vent’anni di berlusconismo?
"Quasi vent’anni di berlusconismo hanno senz’altro agevolato la sete di cambiamento che da qualche anno a questa parte pulsa nei milanesi. Un elemento importante quindi, che però non basta a giustificare il trionfo elettorale di Pisapia. È certo che non lo dimenticheremo e il motivo è semplice. Senza andare troppo indietro, ma un po’ indietro bisogna andare, diciamo dai primi del Novecento ad oggi, fra tutti quelli che si sono succeduti a Palazzo Marino, Pisapia è l’unico sindaco che abbia la faccia da bambino. Dice cose importanti però con l’entusiasmo di quel bambino che in lui non è mai morto. Ha la capacità di risvegliare la creatura da troppo tempo anestetizzata nell’animo dei milanesi. Una caratteristica che non ha certo la Moratti e che purtroppo mancava da 15 o 20 sindaci fa".
Il 2015 sarà l’anno dell’Expo. Un’occasione o solo un’opportunità, l’ennesima, di cementificare dietro il velo del grande abbaglio economico?
"Se il buongiorno si vede dal mattino, per capire come sarà l’Expo basta fare quattro passi alle Varesine di Milano e conoscere, in quell’agglomerato di cemento fatto unicamente di grattacieli, la forza distruttiva di Formigoni e della Moratti. Intendiamoci, la nuova sede della Regione vista da sola, isolata dal contesto milanese, non si può dire che sia brutta. Ma è orrendo il fatto di averla immaginata al centro di Milano, dove già esisteva uno stile che è poi quello tipico lombardo, comunque parecchio massacrato dalle giunte precedenti. Io non dico di non costruire, se c’è chi non ha la casa è giusto provvedere. Ma perché non provvedere secondo le caratteristiche architettoniche milanesi?... Lo sanno tutti che "il governo del fare...i danni" non metterà mai quei grattacieli a disposizione di chi veramente ha bisogno di un’abitazione e fatica a tirare la fine del mese".
Lei nel 1994 votò per Silvio Berlusconi. Lo considerava una speranza? Si è pentito?
"Una speranza? In un certo senso sì. Vedevo in lui un qualcosa di diverso pur se non del tutto decifrabile. Però anch’io, come tanti credo, fui preso all’amo da un’affabilità giocosa e simpatica, quindi lo votai se non altro per cambiare. Ma subito mi accorsi che il suo modo di pensare era distante anni luce dal mio".
È vero che la vicenda processuale di Marcello Dell’Utri e l’epopea degli oscuri stallieri in odore di mafia e in servizio permanente effettivo ad Arcore la turbò?
"Premetto che non ho mai creduto e non credo a un Berlusconi mafioso. Neanche se lo vedessi con in mano la lupara. Tuttavia la faccenda dello stalliere fu una delle prime cose per le quali cominciai a farmi delle domande. "Com’era possibile?" - dicevo - "Forse non si rende conto della gravità della cosa". Può capitare a quelli simpatici di non riuscire a vedere o far finta di non vedere il male che ti può travolgere. Se poi oltre a questo decidi anche di entrare in politica (lo puoi fare, non dico di no) sottostai a un patto: prima di fare la comunione coi cittadini è assolutamente necessario mettersi a nudo e confessare i propri peccati. Certo i cittadini potrebbero non assolverti, ma nel caso contrario, dovrai essere consapevole che alla minima bugia ti si può aprire la strada verso il declino. E Berlusconi, purtroppo, ha fondato un impero sulla bugia".
A Roma, negli immutabili transatlantici senza rotta di Montecitorio hanno ascoltato la sua voce a regolari intervalli. Crede di aver disturbato?
"Quando dice "la sua voce", si riferisce proprio alla mia?".
Certo.
"Se non fosse così, non ci sarebbe alcuna ragione di porre un veto sul mio ritorno in tv. E su questo l’ex DITTATORE GENERALE della Rai Mauro Masi è stato fermo e intransigente". (Scandisce la qualifica e la enfatizza, ndr.).
Diede anche momentanea ed effimera fiducia alla Lega di Umberto Bossi e ai Verdi. Parlò bene di Walter Veltroni. Intervenne nel dibattito pubblico. Si rimprovera qualche leggerezza?
"Per mia natura tendo sempre a parlare bene delle persone, e quando ne parlo male (sarà forse questa la leggerezza) mi scopro sempre in ritardo. Lo faccio all’ultimo momento, quando proprio le ferite sanguinano. Parlai bene di Veltroni e apprezzai il suo coraggio di correre da solo. Ma lo attaccai quando avevo saputo di un suo terrificante progetto volto a costruire un megaparcheggio sotto il Pincio. Come voleva fare la Moratti sotto la Darsena di Milano".
Le faccio tre nomi. Gianfranco Fini, Massimo D’Alema, Antonio Di Pietro. Può tracciare un ritratto del terzetto?
"A mio parere la rottura tra Fini e Berlusconi è stata, da parte di Fini, giusta e necessaria. Era un sodalizio che evidentemente non poteva più andare avanti. Ognuno ha in mente una destra diversa e quella di Fini, francamente, mi sembra più indirizzata verso la democrazia. D’Alema mi è sempre piaciuto. Tranne quando in una sua dichiarazione lo sentii leggermente a favore delle centrali nucleari. Ma spero si sia ravveduto. Anche perché Bersani ha dichiarato più volte di essere contro il nucleare. Bravo Bersani! Ma il più rock dei tre è e rimane Antonio Di Pietro. È il politico che più di tutti, assieme a Grillo, persegue la verità anche a costo di perdere qualche voto".
A D’Alema il suo spontaneismo non è mai piaciuto. "La politica ai professionisti", disse un giorno.
"Se devo essere sincero, rivedendomi, in alcuni frangenti anch’io non mi piacevo, e forse D’Alema è incappato proprio in quelle due o tre cose che anche a me non andavano a genio".
Ora pare la entusiasmi la battaglia dal basso di Beppe Grillo. Può descrivercelo con pregi e difetti, eccessi e generosità?
"La battaglia che sta facendo Grillo è grandiosa. Credo veramente che lui stia tracciando il percorso di un futuro politico. Le sue "Cinque Stelle" condizioneranno i governi di tutte le regioni. La corruzione sarà ridotta a zero e l’aria sarà senz’altro più pulita. Chiunque abbia un minimo di buon senso non può non condividere il suo programma".
Difetti?
"Se si tratta di dare un ulteriore levigata al "diamante", il suo primo difetto che mi viene in mente potrebbe essere il suo modo sempre concitato di parlare alla gente. Ecco, questo a lungo andare potrebbe rovinare il "diamante". Spesso parla e grida a perdifiato senza un attimo di sosta, credo che chi lo ascolta si senta come investito da una sensazione di affanno che potrebbe far passare in secondo piano il significato delle sue incontestabili verità".
Altre ombre?
"Non mi vengono in mente, salvo alcuni piccoli errori che si stanno profilando in questi giorni sull’onda del suo successo elettorale. Mi riferisco alle sue ultime dichiarazioni quando Grillo dice che "i politici sono tutti uguali". Non è vero e sono pienamente d’accordo con Bersani: "Io posso non piacerti - dice il leader del Pd - ma non puoi dire che sono uguale agli altri". Effettivamente come fai a dire che Bersani, per esempio, è uguale a "Straguadagno". Già fisicamente sono diversi, e poi "Straguadagno" è uno che per quello che dice, te lo dimentichi subito. Ma l’errore che a mio parere Beppe Grillo sta per commettere (e se lo facesse sarebbe grave anche per il suo movimento) sarebbe quello di non sostenere Pisapia". (Storpia volutamente il nome di Giorgio Stracquadanio, sorride, sussurra: "Mi pare che qualcosa il personaggio abbia guadagnato", ndr).
Lei potrebbe convincerlo con un appello?
"Caro Beppe tu non hai certo bisogno della Moratti se malauguratamente vincesse, ma di Pisapia hai bisogno eccome. Tu sei troppo intelligente per non capirlo. Pisapia è la chiave d’accesso a quella svolta che tu hai iniziato tanto tempo fa. Non puoi quindi precluderti i diversi lasciapassare che con chiunque altro (data la trasparenza del tuo programma) sarebbero bloccati. Vorrei che tu per un attimo passassi in rassegna i volti di coloro con i quali avresti a che fare, nel caso accadesse che i milanesi fossero presi da un nuovo colpo di sonno".
Vuole tentare di fotografarli lei?
"Basta guardare con quale arroganza gli Assatanati di Berlusconi stanno occupando tutte le reti televisive tranne una che per fortuna si distingue, La7 di Mentana. Non si rassegnano al grande risveglio dei milanesi, per cui non gli resta che l’arma della violenza (Lassini insegna). Ne cito uno e mi riferisco all’insopportabile Maurizio Lupi in arte "MANNARO" (scandisce ancora, ndr.) da come si attiva nella continua scorrettezza di interrompere i suoi interlocutori con false tiritere ossessivamente lunghe e ripetitive. Insistendo imperterrito, con la sua voce monocorde da megafono, a parlar sopra all’avversario con l’intento di non far capire ai telespettatori le ragioni dell’altro".
Una tecnica precisa?
"La tecnica ormai stantia è sempre la stessa anche quando vengono inquadrati nei piani d’ascolto. Cominciano a muovere la testa a destra e a sinistra in segno di dissenso come tanti pappagalli ammaestrati. Quale dialogo potrebbe avere dunque Grillo con questa insalata di gente appassita come Giovanardi e Gasparri? Dall’alto delle sue "Cinque Stelle" sono lontani anni luce".
Il 12 e 13 giugno si voterà per i referendum. Un fine settimana importante. Legittimo impedimento, nucleare, privatizzazione dell’acqua. Abbiamo appena visto la catastrofe di Fukushima e forse, quasi sicuramente, non tutto abbiamo ancora scoperto sulle conseguenze future. Quanto è importante non andare al mare questa volta?
"Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma è una questione di vita o di morte. Il 12 e 13 giugno bisogna assolutamente andare a votare contro l’assurdità delle centrali nucleari e quindi contro l’ottusità di quei governi che, come il nostro, sono invece favorevoli a dar vita a delle macchine infernali che prima o poi ci uccideranno. Devo dire che a differenza degli altri popoli, gli italiani si sono rivelati il popolo più intelligente e lungimirante".
Perché?
"Hanno capito che è pericoloso accendere qualcosa che poi non si potrà mai più spegnere. Chernobyl è rimasta una fornace radioattiva che si spegnerà solo fra 25 mila anni. Per far sì che le radiazioni non si espandano gli scienziati hanno dovuto far costruire un immenso sarcofago di cemento, e tuttavia ancora oggi permane un grande problema: gli scienziati sovietici sono preoccupati dall’idea che il nucleo del reattore possa fondere e contaminare la falda acquifera sottostante. Per questo e per chissà quante altre cose che ci nascondono, non possiamo assolutamente mancare all’appuntamento del 12 e 13 giugno".
Come le sembra la tv di oggi?
"Mi sembra che manchi qualcosa...".
Le piace Fabio Fazio? Ha visto "Vieni via con me"? Ad occhio, eravamo lontani dalle scenografie apocalittiche e più che instillare domande, il programma sembrava un tentativo di offrire certezze. È d’accordo?
"Fabio Fazio, detto anche FabioZ? Sì mi piace: è bravo e simpatico. "Vieni via con me" l’ho seguita con interesse. Lui e Saviano mi hanno convinto. Magari c’era qualche elenco di troppo, ma nell’insieme il programma è stato forte. Soprattutto per ciò che ha detto Saviano".
Il 2011 vedrà anche un progetto tv sulla sua vita. La via Gluck a fumetti in onda su Sky, con vari contributi a partire da Milo Manara e Nicola Piovani.
"La devo correggere. Non è un progetto sulla mia vita, non lo farei mai. In questo progetto non c’è nulla di autobiografico se non il mio modo di pensare e di vedere la vita. Il personaggio di questa storia si chiama Adrian che sarà anche il titolo del fumetto. Le posso solo dire che succede di tutto. Sono 13 puntate della durata di un ora. Oltre al geniale tratto di Milo Manara, specie nelle scene d’amore, nella musica abbiamo un Nicola Piovani scatenato con un commento melodico da schianto. Uno dei suoi brani sarà la sigla con un testo altrettanto magistrale di Franco Battiato".
Dopo maree e riflussi, film, figli, canzoni, programmi e riflessioni, ha capito il segreto della vita?
"Sì". (Inarca il sopracciglio, si piega, produce una smorfia, riflette, rimane volutamente enigmatico, ndr.)
A 73 anni l’ottimismo è un obbligo?
"Più che un obbligo dovrebbe essere spontaneo in quanto si è più vicini all’Eterna giovinezza".
Ci rivela una formula magica, venata magari dal rock, per svegliare l’Italia di oggi?
"Da quello che sta succedendo credo che l’Italia si stia già svegliando. Ci troviamo nel bel mezzo di un "grande inizio" che non poteva che venire dai milanesi. Pisapia e Grillo rappresentano oggi gli unici due pilastri su cui poggiare le basi per il grande cambiamento. Ma per come la vedo, la strada sarà ancora lunga e tortuosa. Per completare l’opera, e ci vorranno anni, sarà necessario un perfezionamento per il quale Grillo e Pisapia non basteranno più. Avranno bisogno di un terzo elemento. Un vero rivoluzionario che loro due dovranno diligentemente seguire con umiltà. Se pensate che stia parlando di me, vi sbagliate di grosso. Certo potrei essere io, ma sono troppo vecchio ormai. Comunque sarà senz’altro uno che non potrà essere diverso da me...".
Eredi e omologhi, in effetti, non sono alle viste. Lei ha venduto 150 milioni di dischi. Che rapporto ha con il denaro un figlio di emigranti che da bambino non possedeva i soldi per il tram e aveva il cesso sul ballatoio?
"Mi considero un ricco che da un momento all’altro può perdere tutto quello che ha per un ideale".