Alberto Crespi, l’Unità 17/10/2010, 17 ottobre 2010
Un dizionario della censura da brivido. O da risata... di Alberto Crespi Riceviamo, giorni fa, il Dizionario della censura nel cinema edito da Mimesis (28 euro, oltre 600 pagine)
Un dizionario della censura da brivido. O da risata... di Alberto Crespi Riceviamo, giorni fa, il Dizionario della censura nel cinema edito da Mimesis (28 euro, oltre 600 pagine). È una traduzione dal francese: lo ha scritto nel 2001 Jean-Luc Douin, firma di cinema su Le Monde – diverse sue recensioni sono reperibili in rete. Promette bene. Come un vero dizionario, è scritto a «voci», dedicate a paesi, cineasti, singoli film. Del resto, la censura si è divertita con il cinema fin dalle origini: ce n’è da raccontare. Cominciamo a consultarlo, magari andando a verificare storie che, un po’, si conoscono. Vediamo ad esempio come Douin racconta certe clamorose censure italiane. Vediamo la voce «Bertolucci, Bernardo». Vediamo cosa dice di Ultimo tango a Parigi, film a suo tempo condannato al rogo. Leggiamo la paginetta scarsa dedicata a Bertolucci e restiamo di stucco. Tralasciamo il fatto che Douin riassume Novecento definendolo una «rievocazione delle rivolte paesane e operaie nella Romagna di inizio secolo». Il curioso termine «paesano» è sicuramente una traduzione sballata di «paysan», che vuol dire «contadino». Che poi Bertolucci sia di Parma, in Emilia, e che lì il film si svolga, a un francese sarà sembrato secondario (ma andatelo a dire agli emiliani!). La perla arriva dopo, quando Douin scrive: «Bertolucci aveva scosso l’opinione pubblica dichiarando che era stato privato del diritto di voto, in seguito alla pena di due mesi di reclusione inflittagli per “attentato al pudore” in Ultimo tango a Parigi . Ma si trattava di un abbaglio: in Italia, solo una pena di tre anni di prigione può privare del diritto di voto». La frase è talmente mal scritta da risultare ambigua. Chi avrebbe preso «l’abbaglio»? La legge italiana, che ha condannato Bertolucci ingiustamente? O Bertolucci medesimo, che si è confuso e non ha mai perso il diritto di voto? Fatti di Douin, direte voi. E no! Fatti nostri. La censura a Ultimo tango è una delle pagine nere della nostra democrazia, e non è possibile che un libro la racconti in questo modo. Per esser sicuri, verifichiamo. Bernardo Bertolucci, come andò la storia del voto? Avevi preso «un abbaglio»? Il regista, raggiunto al telefono, si fa leggere la frase suddetta e, fra l’incazzarsi e il ridere, sceglie – dopo qualche minuto di incertezza – la seconda: «Era, mi pare, il 1975. Stavo lavorando ancora a Novecento, c’erano le elezioni e non avevo ricevuto il certificato elettorale. Andai all’ufficio preposto, chiesi informazioni. C’era un impiegato con le mezze maniche, sembrava uscito da un film di Zampa. Mi disse: il suo certificato non c’è, lei è stato condannato alla perdita dei diritti civili. Potei votare di nuovo solo 5 anni dopo». Alla faccia dell’abbaglio. A questo punto, divertiamoci. Andiamo a vedere la voce «Russia»: di belle storie sulla censura sovietica ne sappiamo parecchie. Leggiamo. Strana voce: chi sono questi tizi di cui si parla? Chi è «Krouchetchev»? Dev’essere lo stesso personaggio che a volte è scritto «Krouchtchev». Solo dopo un certo sforzo di fantasia capiamo che è il modo in cui i francesi scrivono il cognome di Nikita Krusciov (che per altro, nella traslitterazione scientifica dal cirillico, andrebbe scritto «Chruscëv»). E qui la colpa diventa del traduttore, che ha conservato le grafie francesi arricchendole di refusi pazzeschi: Michalkov diventa «Mikhlkov», German è «Guerman», Kozincev «Kositesev», Pudovkin «Poudvkine», il famigerato ministro Zdanov è «Jdanov», Kulesov è «Kooulechov», il ministro degli interni dello Zar Stolypin è talora «Stolpyne», talaltra «Stoplyne». La lettura della suddetta voce «Russia», da pagina 485 a pagina 494, diventa un distillato di calembours degno di Lewis Carroll. E se leggessimo la voce su Pier Paolo Pasolini? Scopriremmo che un giornale «pubblicò una sua foto, tratta da L’oro di Roma di Carlo Lizzani in cui era attore e che lo mostra con una mitraglietta in mano». Anche qui, verifica (a questo punto è diventata una scusa per salutare vecchi amici): Lizzani conferma che la foto esisteva, era un’immagine del film, un giornale la pubblicò… solo che il film era ovviamente Il gobbo, perché nell’Oro di Roma Pasolini non c’era. Insomma, questo libro di Douin è un delirio. E visto che in copertina c’è, bella grossa, la scritta «versione italiana a cura di Paolo Bignamini» vorremmo chiedere al collega – è giornalista del «Sole 24 Ore» – a cosa stavano pensando, lui e tutti i redattori di Mimesis, quando traducevano e «curavano» questo capolavoro. In quarta di copertina c’è un’altra bella frase, tratta da L’Express: «Alcune pagine fanno sorridere, altre fanno venire i brividi». Beh, alcune tutte e due le cose. ROMA