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 2011  gennaio 09 Domenica calendario

REPORTAGE DA SOLFERINO, FIRMATO DUNANT

Nel Risorgimento italiano ricordiamo un unico evento storico dotato di significato internazionale, non solo limitato al nostro processo di unità: la battaglia di Solferino, combattuta nel 1859. Ad essa parteciparono ben pochi italiani – fu vinta dai francesi contro l’esercito austriaco – ma soprattutto a percorrere il campo di battaglia il giorno dopo fu uno svizzero giuntovi per incontrare Napoleone III. Jean Henri Dunant rimase così sconvolto dallo spettacolo dei soldati feriti e abbandonati senza cure da scrivere un reportage drammatico, Un souvenir de Solferino. E questa denuncia della gravità della situazione servì alla mobilitazione internazionale che permise la creazione della Croce Rossa.

Sulla battaglia è uscito un originale libro (Ulrich Ladurner, Solferino), nel quale l’autore, austriaco, torna oggi sui passi del bisnonno, che aveva raccontato in un diario questa esperienza. Un libro, quindi, dove la storia di Solferino e la costruzione della memoria della battaglia sono lette con occhi ben diversi da chi la vede solo come passo decisivo per l’Unità d’Italia. Per Ladurner infatti Solferino è solo una delle battaglie più sanguinose del tempo, scontro che lo colpisce per le scelte poco prudenti dell’imperatore d’Austria, per il caldo afoso che affretta la fine dei feriti e aumenta le sofferenze di tutti. La sua attenzione è diretta a particolari concreti, come il fatto che i soldati austriaci, sorpresi nel sonno, non ebbero tempo neppure di fare colazione, e di portarsi dietro qualcosa da bere.

Una delle battaglie più cruente dell’epoca, conviene Ladurner. Ma che sarà il punto di partenza per una delle imprese più civili e caritatevoli che conosciamo, quella della Croce Rossa. Il passaggio da negativo in positivo è realizzato grazie all’iniziativa e alla creatività propositiva di una singolare figura, quella dello svizzero evangelico, Jean Henri Dunant (1828-1910). Il personaggio è poco noto, ma talmente interessante che anche la biografia dedicatagli da Franco Giampiccoli (Claudiana) – precisa sui dati storici ma tesa a nascondere le zone in ombra e a sottolinearne l’appartenenza protestante – risulta appassionante.

Dunant infatti è una personalità complessa e contraddittoria: in lui vivono l’utopista profetico – capace di trascinare le élites di tanti paesi del mondo a sottoscrivere la convenzione di Ginevra del 1864 che pone le basi della Croce Rossa e di organizzare con vigore e senso pratico l’assistenza ai feriti di guerra – e al tempo stesso l’avventuriero, sempre pronto ad arricchirsi con qualche improbabile impresa, spesso legata al mondo coloniale, e poi trascinare i suoi soci in rovinosi fallimenti.

Non si capisce mai se sta incantando chi gli sta davanti – spesso si tratta di donne – con i progetti umanitari o se sta aggirando il malcapitato per coinvolgerlo in un fallimentare affare. Proprio come nell’incontro con Napoleone III a Solferino: Dunant lo cerca per chiedergli aiuto per salvare i suoi affari compromessi in Algeria, ma poi gli parla anche della situazione disastrosa dei feriti e gli propone la costituzione del progetto per il soccorso dei feriti di guerra che poi diventerà la Croce Rossa. La sua vita è una serie di alti e bassi: il premio Nobel attribuitogli per la pace nel 1901 lo raggiunge mentre, poverissimo, vive ospite di un ospedale svizzero.

Se nella biografia di Giampiccoli le vicende avventurose della sua vita sono ben ricostruite, molto meno lo è lo sfondo culturale in cui Dunant concepisce i suoi progetti assistenziali: certo, non basta la fede evangelica, come sembra pensare l’autore, perché i cristiani, cattolici e protestanti, si sono sempre impegnati nell’aiuto ai sofferenti – anche a Solferino – ma non hanno mai concepito un’impresa come la Croce Rossa, neutrale e internazionale, basata su una serie di accordi politici e su una ideologia laica: l’umanitarismo, appunto.

A inventare questo termine è stato infatti il filosofo positivista Comte, e questo tipo di ideologia – così come il pacifismo a cui Dunant aderirà negli ultimi anni della sua vita – ha radici nel sansimonismo. E sansimoniani e probabilmente anche massoni, fervidi sostenitori dell’umanitarismo, erano molti dei compagni di un’avventura coloniale del filantropo. Giampiccoli tende a non riconoscergli un’appartenenza massonica, non avendo trovato la sua iscrizione negli archivi svizzeri della massoneria, ma forse sarebbe stato più importante sondare il suo orizzonte culturale e le sue alleanze per non escludere almeno una forte vicinanza ideologica al mondo massonico-teosofico. Dunant si farà seppellire infatti senza nessun rituale religioso, rimanendo un avventuriero sino all’ultimo: non ha pagato gli antichi creditori neppure dopo avere ricevuto la cospicua somma del Nobel.