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 2001  luglio 21 Sabato calendario

«HO SENTITO DUE COLPI SECCHI. POI MI HANNO TRASCINATA VIA»


Ero con i contestatori mentre dalla camionetta dei carabinieri sono partiti due colpi di pistola. Ho visto Carlo Giuliani, quel giovane con l’estintore in mano, avvicinarsi al fuoristrada e poi cadere. Sono caduta anche io, trenta metri più in là, e i carabinieri hanno cominciato a picchiare. Un ragazzo che era con me è stato ferito alla testa, aveva il sangue che gli colava sugli occhi. Ma questo non li ha fermati. Ci colpivano con i manganelli, tiravano calci, ci sbattevano gli scudi in testa, urlavano «bastardi». Acciecati dai lacrimogeni, con la gola che bruciava, non ci siamo accorti subito che per quel ragazzo dietro di noi non c’ era più niente da fare. Gli altri erano già andati via, spaventati dagli spari che sono arrivati all’ improvviso. Un fazzoletto bagnato sulla bocca, il limone spremuto sugli occhi per cercare di resistere a quel fumo che ti blocca il respiro fino a stordirti: così si è cercato di fronteggiare le «cariche». Confusa tra i No Global mi sono tolta la pettorina che identifica i giornalisti per vedere quello che succedeva dall’ altra parte della barricata. Alle 17.30, mentre il corteo delle Tute Bianche è bloccato in via Tolemaide dallo sbarramento della polizia, i gruppi più autonomi decidono di staccarsi e prendere una strada laterale per arrivare in Zona rossa. Imboccano via Caffa. E’ un vicolo chiuso dal fronte dei carabinieri. I ragazzi avanzano, loro indietreggiano. Partono gli slogan qualcuno comincia a urlare: «Avanti, avanti. Ce la facciamo». I carabinieri indietreggiano ancora, incredibilmente non lanciano neanche una bomboletta. Nessuno pensa che dietro di loro abbiano i mezzi di appoggio, che vogliano attirarli verso la piazza dove ci sono maggiori vie di fuga. E così i giovani cominciano a correre, caricano. Quando arrivano in piazza Alimonda scoppia l’ inferno. La zona è accerchiata, davanti alla chiesa ci sono due camionette. Comincia la sassaiola dei contestatori. Alcuni hanno in mano gli estintori e si avvicinano alle macchine gridando «Genova libera». Poi partono all’ assalto. Sembrano invasati. Sfondano i vetri, tirano calci. Giuliani è con loro, la faccia coperta da un passamontagna. Comincia a sbattere l’ estintore sulle portiere, riesce a spaccare il finestrino. Dall’ altra parte, alcuni ragazzi infilano spranghe e bastoni nell’ auto. Dall’ interno i carabinieri cercano di proteggersi con gli scudi. La camionetta non può andare avanti perché è bloccata da un cassonetto. All’ improvviso spunta una pistola e partono due colpi. Subito dopo vengono tirati i lacrimogeni. Il fumo avvolge tutto, non si vede più nulla. Nessuno si accorge che un ragazzo è stato ucciso. Resta per terra in un lago di sangue, ma i suoi compagni sono già lontani. Io sono impietrita. Poi sento una mano afferrarmi il braccio e un ragazzo mi trascina via. «Corri, corri veloce». Inciampa, cade. Cado anche io e lui mi è addosso. In un attimo i carabinieri sono sopra di noi. Picchiano forte, urlano. Cerco di ripararmi e intanto tiro fuori la pettorina che identifica i giornalisti. Non serve a niente, ci prendono a calci. Lui ha due tagli sugli occhi, il sangue gli impedisce di vedere. Siamo rimasti soli. Dopo qualche minuto si avvicina un giovane che abita lì. Chiama l’ ambulanza, ma anche questo è inutile. Passano altri minuti ma sembrano secoli, poi arrivano i medici del Gsf e ci portano via. Ognuno va per conto suo, io torno su via Tolemaide. C’ è la polizia davanti a me, a questo punto sono dietro le camionette. In fondo alla strada c’ è un altro blocco dei reparti antisommossa. Partono ancora lacrimogeni, mentre gli idranti spargono una sostanza urticante. Sotto i portici ci sono almeno dieci giovani per terra. Perdono sangue dalla testa, uno ha preso una manganellata in bocca. I manifestanti che sono nel servizio sanitario cercano di aiutarli, poi cominciano ad arrivare le ambulanze. Mi siedo per terra e in un attimo la polizia mi afferra e mi chiude in un portone. Era già successo prima, molte ore prima. Sono le 15,00. In testa al corteo delle Tute bianche, proprio dietro gli scudi, sembra che tutto fili liscio. «Tranquilli, aspettiamo che finiscano gli incidenti con gli anarchici e poi ripartiamo», urlano nei megafoni i leader del movimento. «E’ presto, abbiamo tutto il tempo per noi», ripetono. In realtà il loro tempo è già scaduto. La marcia della «disobbedienza civile» si interrompe a cento metri dalla stazione di Brignole, quando parte la prima carica. Il serpentone aveva percorso poco meno di un chilometro dallo stadio Carlini, il punto di partenza. Prime manganellate e un gruppo che si chiude in un palazzo. Io sto con loro. Una ragazza è ferita. I suoi amici chiudono il portone di vetro con un vaso. Temono che la polizia voglia arrestarli. Poi si decide di uscire e di entrare nella mischia. Il corteo si è ormai sparpagliato, la zona è circondata. Ovunque i contestatori cerchino di andare, vengono «caricati». «Uniti, stiamo uniti», urlano i leader. Ma è del tutto inutile. Partono nuovi lacrimogeni, i No Global rispondono tirando sassi e bottiglie. «Acqua, limone», urlano i ragazzi mentre si rovesciano i carrelli con le bottiglie di minerale e i secchi con il bicarbonato che servono a fermare le lacrime. Un’ altra carica, questa volta dei contestatori, poi si arriva al blindato dei carabinieri. Il mezzo viene incendiato, alcuni giovani azionano gli estintori. La polizia risponde con gli idranti. Dentro c’ è una sostanza che fa bruciare la pelle, i ragazzi sono costretti a tornare indietro. Gli organizzatori e il «gruppo di contatto» formato dai parlamentari dei Verdi e di Rifondazione Comunista decidono di provare a deviare verso piazzale Kennedy. E’ a questo punto che gli autonomi si staccano. «Dobbiamo entrare in zona rossa - urlano - non andiamo dall’ altra parte». In realtà non vanno da nessuna parte. Restano in trappola tra via Tolemaide e corso Gastaldi. Girano in tondo, ma non riescono a forzare il blocco. Gli scontri con polizia e carabinieri ormai sono continui. I contestatori hanno perso la testa e in ordine sparso attaccano gli agenti. Avanti verso i blocchi e poi indietro di corsa per sfuggire alla carica. La maggior parte sono italiani. Con loro anche inglesi, tedeschi, spagnoli. «Hasta la victoria siempre», gridano per darsi la carica. Ma guardando le loro facce capisci che sanno di essere stati sconfitti. «Entreremo in zona rossa, libereremo Genova», avevano giurato. Sono riusciti a percorrere soltanto un chilometro e dietro di loro hanno lasciato un morto. Un ragazzo di appena 23 anni esaltato da una guerra che era persa in partenza.