Joseph Halevi, il manifesto 9/12/2010, 9 dicembre 2010
EUROBOND, UNA PIA ILLUSIONE
La scorsa primavera, all’indomani della creazione di un opaco fondo di salvataggio per la Grecia e situazioni analoghe, uscirono sul Financial Times due articoli rispettivamente di Tommaso Padoa Schioppa e di Romano Prodi. Del primo, scritto come se fosse un Templare medioevale, ne abbiamo già parlato: sosteneva che le orde degli speculatori erano state sconfitte. Il pezzo di Prodi esprimeva uno stato di estasi: ecco, diceva, la formazione di un fondo comune mostra che si sta andando inesorabilmente verso una vera fiscalità comune europea.
Sia Prodi che Padoa Schioppa glissarono completamente sul fatto che la formazione dell’opaco fondo si fondava su una premessa che lo negava dal lato operativo. Il fondo aveva principalmente una funzione deterrente, di cuscinetto. Una volta chiamato realmente in causa avrebbe mostrato tutta la sua debolezza, cioè la sua opacità ed insufficienza. E così è successo. Chi allora aveva analizzato l’opaco fondo l’aveva già capito. Il precipitare della crisi irlandese è stato dovuto proprio al fatto che i detentori del debito avevano colto il fatto che il fondo non copriva granché anche tenendo conto delle correzioni
tedesche e dei propositi della Merkel circa la necessità di spalmare le perdite anche sui detentori di titoli.
L’architettura del fondo salva Grecia spiega molto bene perché una politica fiscale comune nella zona dell’Euro è possibile solo nella direzione attuale, cioè nel senso di tagli nella spesa
pubblica. Il collocamento del fondo in uno speciale veicolo finanziario, donde l’opacità, dimostra l’impossibilità di costruire sulla base di un’architettura economica solida e trasparente. La
proposta italo-lussemburghese, uccisa dalla Merkel, di creare dei titoli pubblici europei non affrontava minimamente la natura contradittoria del sistema istituzionale europeo. Infatti non è
possibile creare un mercato europeo trasparente di titoli pubblici senza cambiare radicalmente il sistema di trattati su cui si basa l’euro. L’essenza di tali trattati, da Maastricht a Amsterdam, a Lisbona, consiste nel separare istituzionalmente la fiscalità di un paese dall’altro. Ogni paese è responsabile del proprio deficit e del proprio debito; in comune ci sono solo i criteri di disciplina fiscale (regolarmente traditi da Germania e Francia).
In questo contesto, come lucidamente osservato da Stephanie Flanders della Bbc, la proposta dell’Italia e del Lussemburgo era contraddittoria perché assegnava agli eurobond due funzioni già di per sé incompatibili. Da un lato gli eurobond avrebbero dovuto isolare i paesi dalla speculazione, dall’altra avrebbero dovuto sostenere e stimolare la disciplina fiscale. Interventi di salvataggio di paesi e sistemi finanziari richiedono «indisciplina» dal lato fiscale. Nel contesto istituzionale europeo di separazione fiscale nessuno degli obiettivi fissati nella proposta Juncker-Tremonti sarebbe stato raggiunto. La crisi continua.