Marina Forti, il manifesto 9/12/2010, 9 dicembre 2010
UN CONFLITTO SUL CACAO
La situazione precipita, e il signor Jean-Marc Anga rilascia
dichiarazioni preoccupate: «Il rischio a breve termine è reale», dichiara all’agenzia Reuter appena tornato da Abidjan, in Costa d’Avorio. Si riferisce al rischio che il paese dell’Africa occidentale, il maggior produttore mondiale di cacao, non sia più in grado di garantire le sue forniture. Suona cinico? Un paese di 22 milioni di abitanti spaccato in due da una guerra civile appena otto anni fa, è avvitato in una crisi politica che rischia di precipitare in un nuovo conflitto armato - e tutta la preoccupazione dei commentatori e media intemazionali è l’incertezza del prezzo di una derrata.
In effetti i futures del cacao sono schizzati in alto nell’ultima settimana, da quando è esplosa la crisi politica nel paese africano: 3.140 dollari per tonnellata a New York (Ice), e 2.081 sterline sulla piazza di Londra (Liffe). E Jean-Marc Anga, capo della International Cocoa Organization (Icco), forum mondiale dei produttori di cacao - lui stesso ivoriano - ha dichiarato ieri alla Reuters che non si tratta di speculazione: «E’ una delle rare volte in cui l’aumento dei prezzi può essere attribuito ai fondamentali del mercato». Il porto di Abidjan è operativo (anche se solo di giorno), riferisce, ma le condizioni della popolazione nelle zone delle piantagioni fanno, tenere per l’immediato futuro dei rifornimenti. «La gente teme per la propria vita e si sta muovendo con cautela, per salvarsi».
Il cacao non è secondario, nella crisi ivoriana. Ricapitoliamo. In novembre la Costa d’Avorio ha tenuto elezioni presidenziali, sotto il monitoraggio dell’Onu che ha un piccolo contingente di pace nel paese. Secondo la Commissione elettorale il ballottaggio, il 28 novembre, ha dato il 54% al candidato d’opposizìone Alassane Ouattara - ex premier durante il lungo «regno» di Felix, il primo presidente post-indipendenza, poi ex funzionario del Fondo monetario intenazionale. Due giorni dopo il Consiglio costituzionale ha invalidato migliaia di voti nelle province del nord (la zona d’origine di Ouattara) e dichiarato vincitore il presidente uscente, Laurent Gbagbo - ex sfidante di Houphouet-Boigny, nazionalista socialisteggiante. Ora entrambi hanno giurato come presidenti, e ciascuno ha nominato il suo governo. L’Onu considera regolarmente eletto Ouattara (lo ha ribadito proprio ieri), il quale ha anche il sostegno della forza ex-ribelle che tuttora controlla il nord del paese. Gbagbo ha però il sostegno dell’esercito, oltre che della popolazione del sud abitata in maggioranza dal suo ceppo etnico, i Bete. In sostanza, i due rappresentano le parti che si erano combattute nel 2002-2003: le elezioni dovevano sugellare una riconciliazione nazionale, ma è successo proprio il contrario.
E il cacao? Gbagbo ha promesso di raddoppiare la produzione, attualmente di 1,2 milioni di tonnellate annue, e rimodernare il settore in linea con le condizioni fissate dal Fmi e dalla Banca Mondiale. Ouattara ha pure promesso di rimodernare il settore e assicurare ai produttori metà del prezzo internazionale. Insomma, entrambi corteggiano i produttori di cacao. Ma nella regione centro-occidentale delle piantagioni la tensione è salita nelle settimane scorse: i coltivatori – gruppo etnico Baoule, il cui candidato è stato eliminato al primo turno – hanno appoggiato Ouattara. Poi è cominciata la campagna di minacce contro i braccianti stagionali che arrivano soprattutto dal nord o da paesi vicini. Sono cominciate le intimidazioni. I braccianti sono fuggiti e i coltivatori, prima corteggiati, ora sono ostaggio del conflitto imminente.