Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 09 Giovedì calendario

CINA, PIÙ LIBERTÀ E MENO RISPARMIO

Il successo economico della Cina non deve farci dimenticare la natura oppressiva del suo regime. A parte le motivazioni etiche e umanitarie, ce n’è una di ordine economico: la mancanza di libertà in Cina è la principale causa degli squilibri commerciali esistenti oggi nel mondo.

La colpa di questi squilibri è generalmente attribuita al surplus commerciale cinese, additato anche come una delle fonti delle pressioni deflazionistiche su scala globale. L’opinione prevalente però è che questo surplus sia l’inevitabile conseguenza di una moneta cinese fortemente sottovalutata.

Mantenendo artificialmente basso il valore dello yuan - così si sostiene - i cinesi di fatto stanno immettendo sui mercati occidentali prodotti a prezzi con cui i produttori occidnetali fanno fatica a competere. Sempre secondo tale tesi, il governo cinese avrebbe l’obbligo di non manipolare la propria valuta e di consentire che si rafforzi, eliminando il surplus commerciale.

Ma il vantaggio competitivo dei prodotti esportati dai cinesi supera di molto la differenza che uno yuan più forte potrebbe riequilibrare (ragionevolmente un 20 - 30%). In tale stato di cose, una rivalutazione della valuta potrebbe significare che gli occidentali pagherebbero di più per le importazioni dalla Cina, senza al contempo aumentare di molto il valore delle loro esportazioni in Cina.

Se la colpa principale non è del cambio sottovalutato, per quale motivo la Cina esporta molto più di ciò che importa? La risposta si deriva da una semplice identità contabile. Per ogni paese, l’avanzo commerciale è uguale alla differenza tra il reddito prodotto e la somma degli investimenti e dei consumi interni. Quando un paese consuma e investe più di quello che produce ha un deficit commerciale. Viceversa, quando produce più di quello che consuma e investe ha un avanzo. Nel caso della Cina - paese che cresce del 9% l’anno e investe il 43% del proprio Pil - è davvero arduo sostenere che investa troppo poco. È molto più facile sostenere invece che risparmi troppo: il 54% del Pil contro una media del 33% tra i paesi in via di sviluppo e del 17% tra quelli dell’Ocse.

Come possiamo giudicare eccessivi i risparmi cinesi? In un paese libero, la scelta tra consumo e risparmio è il frutto di decisioni individuali, che rispecchiano le preferenze della sua popolazione. Sarebbe dunque paternalistico da parte nostra sostenere che i loro risparmi sono eccessivi.

Ma questo è proprio il punto: la Cina non è un paese libero e le decisioni economiche dei cinesi non sono guidate da forze di mercato, ma sono influenzate da decisioni politiche di un governo non democratico che ha deciso che l’accumulo di crediti nei confronti del resto del mondo è più importante dello standard di vita dell’attuale generazione.

I risparmi in eccesso non riflettono solo la volontà del popolo cinese, e in parte non provengono dai risparmi delle famiglie, bensì dalle società, specialmente le grandi aziende di proprietà statale. Queste imprese producono forti profitti perché i salari sono mantenuti artificialmente bassi, evitando la costituzione di sindacati e limitando il flusso delle informazioni. Non soltanto tutto ciò fornisce un iniquo vantaggio ai produttori cinesi, ma in più preclude ai lavoratori cinesi di avere le risorse necessarie ad acquistare beni di importazione.

Una redistribuzione dei redditi arrecherebbe benefici in egual misura alla popolazione cinese e al mondo intero, visto che la disparità di reddito è tra le più alte del mondo in via di sviluppo. Inoltre, un sistema più generoso di assistenza sociale - oggi pressoché inesistente - per le famiglie cinesi le indurrebbe a risparmiare meno per le emergenze.

Il governo degli Stati Uniti dovrebbe smetterla di criticare la Cina per la politica monetaria, mentre la Federal Reserve è impegnata in massicci interventi espansivi per deprezzare il dollaro. Si tratta di un comportamento ipocrita, che offre oltretutto ai cinesi modo di reagire assai facilmente. Al contrario, gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero spingere il governo cinese nella direzione della libertà.

Accusare la Cina comunista di sfruttare i lavoratori ha del paradossale. Ma proprio per questo spiazza la Cina da qualsiasi argomento di difesa. Non è solo un obbligo morale, è anche una necessità economica per la stabilità mondiale.