Il Sole 24 Ore 8/12/2010, 8 dicembre 2010
TASSARE IL TRICOLORE È UNA BRUTTA PUBBLICITÀ
La differenza fra una targa professionale e il tricolore è la stessa che passa tra una zebra e un caribù. Hanno entrambi quattro zampe ma sono animali agli antipodi. Eppure a norma di decreto legislativo - il 507/1998 - la nostra bandiera e il cartello del notaio sotto casa qualche parentela ce l’hanno. Usano spazio pubblico per fini "privati", ergo sono soggetti al pagamento dell’imposta sulla pubblicità. A Desio (Monza), comune a trazione leghista prima che il prefetto lo sciogliesse per infiltrazioni di mafia, non c’è distinzione che tenga: la bandiera nazionale è pubblicità. Dunque si paga. Chiedere al gestore dell’hotel Saint John’s, reo di avere appeso tricolore e bandiera europea davanti alla hall. Importo da pagare: 280 euro. Si potrebbe liquidare la cosa come bizzarria. E affidarsi al buon senso: non tutte le amministrazioni comunali hanno funzionari così occhiuti. O casse così esangui. O simpatie politiche così estreme. Noi preferiamo una via più radicale. Sarebbe il caso che quella norma, o per meglio dire l’equiparazione posta in quella norma tra ciò che è commercio e ciò che identità nazionale, fosse abolita. Vorremmo insomma che il tricolore fosse zona extra moenia dall’imposta. Sarebbe un modo per festeggiare i 150 anni di Unità. Libere bandiere al vento. Tax free.