Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 08/12/2010, 8 dicembre 2010
NIXON, ASCESA E DECLINO DI UN PRESIDENTE AMERICANO
L’aspetto più incomprensibile del Watergate, più ancora del reale ruolo svolto da Richard Nixon (mandante o maldestro insabbiatore), resta a mio parere il movente. Che motivo aveva un presidente con la rielezione in tasca di correre un rischio del genere? Che cosa temeva o che cosa cercava nel quartier generale dei democratici? Le tesi correnti parlano del timore di retroscena sul Vietnam (una guerra non «sua», tra l’altro), o richiamano la psicologia distorta e il complesso dell’eterno perdente dello stesso Nixon, anche se i trionfali quattro anni di mandato, oltre all’oggettiva debolezza del suo avversario, potevano averlo rinfrancato in questo senso.
Salvatore Seu
salvatoremseu@hotmail.com
Caro Seu, nel 1952, quando era candidato alla vice-presidenza degli Stati Uniti, Nixon fu accusato di avere accettato finanziamenti illeciti da un gruppo di uomini d’affari californiani. Si difese di fronte alle telecamere la sera del 23 settembre, due mesi prima del voto. Ero allora a Chicago e assistetti alla sua autodifesa con parecchi professori e studenti dell’Università. A giudicare dalle reazioni della pubblica opinione se la cavò piuttosto bene, ma non riuscì più a togliersi di dosso, soprattutto negli ambienti liberal e democratici, l’immagine di uomo scaltro, corrotto e bugiardo. Nel 1960, quando era candidato alla Casa Bianca contro John F. Kennedy, ebbe con il suo avversario i primi dibattiti televisivi fra candidati presidenziali della storia politica americana. Anche in questo caso difese con forza il suo programma elettorale, ma il giudizio della borghesia liberale e progressista fu esteticamente e moralmente negativo. Ho scritto «esteticamente» perché gli nuoceva quella che gli americani chiamano la «five o’ clock shadow», l’ombra delle cinque pomeridiane, vale a dire quel velo scuro che appare nel mezzo della giornata sulle guance di chi ha una barba particolarmente fitta e nera. Più tardi, nonostante alcuni innegabili meriti della sua politica presidenziale, cominceranno ad apparire manifesti in cui, accanto alla sua immagine, campeggiava la domanda: «Comprereste da questo uomo un’auto usata?».
È probabile che questa ostilità abbia suscitato in Nixon una reazione pressoché paranoica. Era convinto di essere circondato da nemici che lo odiavano e si preparavano a montare contro la sua persona una campagna scandalistica. Negò sempre di avere autorizzato l’operazione Watergate, ma è probabile che si ritenesse moralmente libero di dare una occhiata, anche con una effrazione, al materiale di propaganda che i democratici avrebbero utilizzato negli ultimi mesi della campagna presidenziale per il suo secondo mandato. Le conversazioni con i suoi collaboratori alla Casa Bianca, registrate e trascritte nelle 1.200 pagine che furono consegnate alla magistratura nell’aprile 1974, rivelano un uomo che si sentiva isolato, assediato, braccato e si esprimeva spesso con una rabbiosa volgarità. Ma i suoi meriti, non soltanto nel campo della politica internazionale, diventano col passaggio del tempo sempre più evidenti e innegabili. Prima di rispondere alla sua lettera, caro Seu, ho ascoltato nuovamente il discorso con cui annunciò le sue dimissioni l’8 agosto 1974. È il discorso di un uomo di Stato.
Sergio Romano